Da: Canti d’amore

Le vendemmie di Delia

Andiamo insieme Delia per la strada
che un tempo ci portava alla tua vigna;
mi piace rievocare al solatio
dei chicchi il biondeggiare di trebbiano
o il moreggiare rosso sangiovese.
Seguiamo il corso delle dritte fratte
solcate nella strada abbandonata
dai carri che aggiogavano i tuoi buoi;
ed ora è là
che la mia zolla tace
ai piedi di una vigna ormai sepolta
d’erba gramigna sopra terra incolta.
Rivedo i tini e lo schioccare ferri
odo ancora tra i pampini invecchiati
ed il frusciare di procaci pigne.
Il battere dei pigi e i canti antichi
di voci seminate per i colli
e le leggere vesti sul tuo dorso
che la brezza brunastra svolazzava
nell’aria pregna d’umida dolcezza.
Quante volte
sfioravamo le mani
nel recidere il tralcio
e un bacio di nascosto ed un abbraccio
tra le foglie amarognole di viti
e poi fuggivi.
Sente il mio seno ancora
l’acre sapor di vino dall’afrore del tino,
lampi di luce rossa sulla tua smossa chioma.
E i sorsi di dicembre
del giovanile nettare brioso
che teneva d’agosto il sol fulgente
e i canti e i suoni
sul tavolo di quercio:
era Natale,
dal davanzale un tralcio ormai sguarnito,
ma noi levando il dito in alto
festeggiavamo uniti le vendemmie
a brindisi di calici d’amore
da noi raccolti tra l’estive gemme.

 

Mia lontana stagione

Mia lontana stagione. Ora rapino
qualche frutto somigliante vagamente
ai quei bei pomi fulvi da una grata
che reticola il tempo. C’è soltanto
la caligine della sera
a dare parvenze di vita
ai volti evasi dal buio.
Confondevamo il giorno con la notte
dato che il sole
illuminava fisso una collina
che non sapeva l’ora. E anche settembre
non possedeva lame assai affilate
da recidere le vene dell’estate.
Il tuo giardino è oltre quel cancello
da cui trafugo immagini nascoste
in anfore invecchiate. Conterranno
grovigli d’illusioni
su sentieri di salici e brume.
Se rompere le crete è sparpagliare
le frasi che dicemmo,
equivarrà a ridare anche la luce
ai sogni scalfiti dal tempo.
Oltre il cancello c’era il tuo giardino
e non perdeva profili nel vuoto.
C’era sempre il meriggio a illuminare
volti e sorrisi
di lontane stagioni lungo i viali.

 

Era settembre

Era settembre. Dall’aria malata
ci giungevano suoni vagabondi
in cerca di riposo. Si spogliavano
i maculati tigli, e per le vie
le foglie arrugginite
tinnivano fra loro i bei ricordi
di fresche primavere.
Sulla strada dei suoni vagabondi,
zeppa l’anima del tuo caldo respiro,
io ti porsi
una foglia isolata che nel palmo
tenesti con amore.
Era il profumo di avanzata stagione
a mescolare il senso della vita
ai profondi orizzonti.
È settembre.
Giace una foglia secca sul viale
che tiene ancora in seno
il calpestio leggero del tuo piede.
I suoni vagabondi continuano a vagare
tra i rami quasi spogli della vita.
E il solito profumo di passato
mi riporta in memoria
la lontananza tua che è primavera
per queste foglie magre di settembre.
06/10/07

 

Delia

Correvi snella fra le verdi prode
in cerca d’erbe nuove. Non avevi
timore della vita, e tutto quanto
amavi vivere, gustare con
la gioia più profonda dell’età.
Delia. Fluivano bionde le tue ciocche
sulle deboli spalle, ed i tuoi occhi,
di un cielo a primavera, non smettevano
di guardare lontano. Sì! Lontano.
Dove il mare si perde all’orizzonte
in cerca d’avventura, dove il cielo
contraddice la notte con un rosso
che dona tarda sera. Ti era caro
ascoltare i fremiti d’amore,
tenerli stretti dentro, in un forziere.
O sognare vicino
cavalli bianchi sopra verdi prati
cavalcati da principi vogliosi
di rapire il tuo cuore. E ti sedevi
all’ombra dei tuoi querci, imbambolata
dalle grandi estensioni di una terra
che ti portava via. Ma quel giorno
in cui l’aria d’autunno s’apprestava
a rapire improvvisa le tue voglie,
quel giorno che volle con sé
aria di giovinezza da eternare
contro i mali del tempo; proprio quando
quel tempo tingeva di languide note
le foglie ed i prati su cui ti sedevi,
volarono in cielo i tuoi sogni,
portandosi dietro fortini nascosti,
e l’albe dei campi, e l’aria del mare,
e i fiori appassiti di un giorno d’autunno.
Restarono aggrappati in mezzo ai fronzi
i fremiti innocenti del tuo amore.
03/11/07

 

Ode

Erano i prati leggeri di fiori
e l’asolo effondeva verdi essenze
per sfiorare i tuoi seni, dolce Delia.
C’era il ruscello a sciogliersi in gorgheggi
e a toccare la terra
con mani trasparenti.
Primavera.
E tutto attorno a te faceva festa:
dal ramo del ciliegio,
agli scarti del merlo generoso
di messaggi sul piano.
Vedi! Ora si espande candido il pianoro
per l’abbondante neve. E le tue piante,
giganti appesantiti,
grondano solo gelo. Anche il ruscello
ristà, fermo ed immobile. Non canta.
Cristallo è la lastra che arresta il suo corso.
Passa così il bel tempo. La natura
ritornerà di nuovo a verzicare,
ed altrettante volte spegnerà
la gentile stagione.
Così passiamo Delia. Noi saremo
polvere e cenere sotto quei fiori
o sotto il gelo che l’indifferenza
porterà sempre a mietere l’estate.
Fuge quaerere, Delia! Amiamo, amiamo
e ancora amiamo.
Facciamo d’ogni tempo primavera.
24/10/08 h 15,30

 

Gli occhi di mio figlio

Oggi mio figlio ha pranzato con me,
ho guardato i suoi occhi profondi,
radicati nell’animo,
ho ascoltato la sua voce forte e sicura
e la mia tremola e commossa;
ho parlato con lui
di quando tredicenne
campagnolo perenne
sono fuggito da scuola
per tornare tra i campi
a rivedere mio padre.
Ho rivisto mio figlio
tra i pampini ingialliti della nostra vigna;
mi ha guardato
di un cipiglio un po’ caldo e un po’ severo,
poi è corso alla vita.
Occhi verdi, folgoranti,
mani lunghe palpitanti,
mani tremolanti di tuo padre
che ti vede parlare sicuro
di un tiepido muro
dove sedevate accanto.

 

Oh terra di novembre

Si raccoglie in campagna il cimitero
dei tanti miei vicini. Oggi è novembre,
il giorno dei defunti, ed ogni anno
mi chiamano all’incontro. In mezzo ai campi,
fra le distese di terra coltrata
e all’aria fresca di sole e cipressi,
sono da voi, miei cari,
sorridenti sul marmo. Mi avvicino
alla tua effigie consunta, fratello,
per parlarti dei nostri tempi in terra.
Forse allora poco dicemmo;
presi dalla vita,
dimenticammo forse quanto breve
sarebbe stato il fascino del sole.
Ma il tuo sorriso ancor di più ricorda
la maschera al dolore. La mia voglia
è quella di restare assieme a te,
di abbracciare il tuo volto,
di parlarti di noi con il rimorso
di un silenzio passato. E tu padre,
vicino alla tua terra, le cui zolle
battesti con il maglio; e tu madre,
sempre lesta alle brine mattutine,
ascoltate dal figlio,
che veglia accanto a voi,
il pianto suo perenne ai vostri marmi.
Oh terra di novembre! Il tuo riposo
sia vigile ai miei cari. Ti respiro,
ora che vanno i roghi di fascine
a perdersi lontano. E ti rivivo
novembre di dolore e di riposo.
Mi aiutano gli stecchi volti al cielo,
i campi abbandonati ai sagginali,
le gazze sopra magre prode spente,
e i canti delle tortore mi aiutano,
che lugubri rintoccano nell’aria,
a vivere la morte,
con voi, miei cari,
di questo mio novembre.
04/11/09 h 16