Da: I simboli del mito

Con Ulisse

Siamo andati sui mari
a cercare nuovi lidi,
abbiamo visto perire
eroi arsi ed arditi
nati
per conoscere mondi;
abbiamo sfidato gli dèi
per avversi sentieri,
persi compagni
divorati
da mostri o prodigi.
Turbini di grigi cieli,
scogli di sirene,
amene voci di malie,
nostalgie su labili gusci di bosco.
Alla sera ora miro
il giro del sole,
l’astro che uccide un nuovo giorno
adorno di ceneri sparse,
di veneri arse,
di rubori stracci.
Il ritorno dei nostri pericoli,
Omero,
mi avvolge severo l’intorno.
Appena ricordo
il suo volto contratto,
ma il canto non giunse
a forare le cere
che opprimevano dolci chimere
e mi lasciasti solo
su un molo deserto
quando Feaci ospitali
lo sottrassero
a sconosciuti destini.
Da Itaca gli orizzonti
mirasti, Ulisse,
io giunsi in ritardo,
lo sguardo proteso ai fondali
a memoria di quei marinai
che alle tue rive
non approdarono mai.
Ti ho ripreso sovente
la mente rivolta a Calipso,
ti ho chiesto pensieri,
quando sguardi tendevi
da mari lontani
a Telemaco il figlio
o a Penelope sola.
Di vaghe immagini in anima
ti avvolgeva la sera;
si stendeva la notte
a coprire i bei manti,
ma tanti facevano mucchio
nel risucchio dei gorghi
già persi.
Inventasti compagni
sul suolo tuo amico,
ti fingesti mendico,
avesti la sposa,
la cosa sublime,
il bene del figlio.
Ma il cipiglio tuo schietto
sognava i tramonti
alle fonti del mondo.
Il destino ti volle
al di là di colonne
a dispetto di pace,
di lari fecondi.
Io restai su quei lidi
e ti vidi sparire;
ti chiesi all’istante
se scopristi il mistero,
le soglie del vero:
non udii la tua voce;
ricoperta alla foce
dai venti di mare,
non ti udii più parlare.

 

Sui segreti del mio fiume

Sui greti del mio fiume
segreti si nascondono i messaggi;
si levano ai raggi della sera,
poi volano alle golene,
alle schiene degli argini
e vanno dove le acque
gorgogliano alle secche.
Le mecche dei messaggi
sono al mare:
ma non trovano nessuno;
il raduno è là
dove si apre il cielo
per incontrare il blu,
dove non scorgi il fine,
dove il canto disumano
del silenzio
nasconde le sponde
e il senso dei messaggi
ai greti del mio fiume.

 

Restano gli Dèi

Cala il sole
tra le mèssi e i frutti
e s’aggrappa il rosso
all’intonaco del pozzo,
alla parete stanca.
Le mete strette
della nostra terra
vanno a finire.
Restano gli dèi
sul viale,
tra le foglie spazzate
dalle brezze;
si ergono le ombre
di giganti statue
sulla vita dell’acqua,
durature
sul chiudersi del giorno,
brillanti nella notte
di raggi di luna
sulla stessa fortuna
degli uomini alla sera.
Bianche di gesso,
logore di tempo,
restano sui viali
e vedono morire
ogni stagione
vite di giada bagnate
dal pianto del sereno
di rugiada.