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Maria Rizzi su Le meccaniche dei fiori – Dario Marelli
Maria Rizzi su Le meccaniche dei fiori – Dario Marelli – puntoacapo edizioni
Ho ricevuto in dono da Dario Marelli, raffinato Poeta di Seregno, la Silloge “Le mecaniche dei fiori”, edita dai tipi di puntoacapo e particolarmente cara al mio cuore perché vincitrice della sezione Poesia Edita nel nostro Premio “Voci”Città di Roma 2023. L’ottimo prefatore Ivan Fedeli asserisce che il libro si svolge in una sorta di contrapposizione ossimorica che raccoglie in sé l’intero, con sapienza e delicatezza: Universalia e Particularia. L’incipit è una lirica che prova a raccontare il mare. A coglierne l’essenza. E non il mare della riva, dell’approdo: “…il gentile ansimare del faro, erto / tra le brume e l’impossibile” – tratti da Le meccaniche dei fiori (Capo Caccia) . Marelli emerge come spuma nella sezione Universalia, come fiore non colto, come significante defraudato del significato. La sua essenza si rivela in ogni lirica, nella ricerca elegante, dolce, eppur sofferta di spazi liberi, di luoghi veri, di palpiti, preghiere, sogni. Noi allenati a correre, ad addomesticarci nei non luoghi, ad appoggiarci alle storie semplici, stentiamo a salpare “ubriachi di universo”, citando la lirica di Giuseppe Ungaretti in esergo a quella introduttiva appena citata. Il soffio d’estasi dionisiaco annienta le barriere quotidiane, contiene nel suo perdurare un elemento di fuga dal mondo della colpa e del destino. Guardando nella direzione giusta si può scoprire che l’intero universo è un giardino. Tutti i fiori del domani sono nei semi di oggi. Ogni poesia è introdotta da versi di artisti famosi e Jorge Louis Borges sembra guidare il Nostro nel suo viaggio: “Tanto indifeso appare il tesoro del campo /ebbro prima della mietitura, /tanto labile il suo significato”. Tratti da Lefktòn (Il tesoro del campo). La ‘poesia bambina’, che l’autore cerca e raggiunge è l’arte scevra di orpelli, pura, colma di armonia. Gli alberi sanno essere felici senza motivo, non diventeranno ricchi, né potenti, e i fiori, destinati a frammenti di eternità, sanno essere colmi di gioia senza alcuna apparente ragione. La natura è l’abito di Dio, la sua rivelazione. “Architrave d’aria rarefatta / nel domani che precipita, / attendendo in dono il fuoco / artigiano, la parola bambina” – tratti da Natale sui Navigli. Il riferimento alla concezione eraclitea del fuoco come forza produttiva, archè, principio generatore di tutte le cose, accostato alla parola bambina non è casuale, infatti l’etica del periodo stoico si fonda sul principio che anche l’uomo è partecipe del logos e portatore di una scintilla di fuoco eterno. Eraclito ritiene che le opinioni umane siano ‘giochi di fanciulli’. Il Poeta invoca un risveglio e una rigenerazione, un ritorno all’ ‘incanto primordiale’, tra i baci dei ragazzi e i filari di glicine, nonostante siano entrambi pasolinianamente vittime della decadenza del vivere. I grappoli viola – azzurri sanno essere anarchici e liberi, salire tanto in alto da bucare il cielo e, nella meccanica dei fiori rappresentano forse la pianta che traghetta meglio tra il mondo ambito e quello subito e custodisce l’anelito del passaggio dall’uno all’altro. La lettura di questa Silloge, che rappresenta senza dubbio un unicum e consente a Dario Marelli di superare il limite del verso e di toccare l’impossibile, presenta una realtà talvolta dicotomica, talvolta in connessione, sempre sublime: “Nell’oltre si prepara l’appello, / qui – nel presagio della quiete – / la sfioritura del ciliegio” – tratti da Lillà. Lontano dal mondo dello scontato, della convenienza, questo cantore del nostro tempo rompe gli stampi senza urla, senza sangue, con dolcezza, con una levità che stordisce e stupisce. Leva un inno alla fragilità, insita nelle piccole e nelle grandi storie, ricordando a se stesso e ai lettori i punti di forza presenti nelle debolezze. La caducità del ciliegio, ‘il cuore del legno, che si svela’ sono le espressioni dell’anima legata sempre e comunque alle catene della nascita e della morte. Ogni Poeta possiede una mitologia privata, una formazione di simboli, della quale è spesso inconsapevole. Da qui la totale consegna alla doxa, discorso lirico che fluttua svincolato dall’identità personale, e tocca tematiche universali. La sezione Universalia tende all’analisi delle grandi riflessioni dell’esistenza nel contesto storico attuale con un’apertura d’ali che fa tremare i polsi. “Lassù, oltre il volo dei gipeti / dove osano sfidarsi luce e buio / e a dadi si decidono i destini / vibra in controcanto l’assoluto, / il nostro voler essere altro /che frammento d’infinito”. -tratti da Le promesse dei ciliegi. Non vè dubbio che l’autore creda alla biofilia, all’affinità tra l’uomo e le piante, uno stato che troppi di noi hanno dimenticato. Qualcuno ha asserito che esiste qualcosa di vegetale in tutto ciò che è umano, e non riesce difficile crederci: condividiamo la stessa aria e, come le piante, esistiamo respirando. “Sulle punte dei larici/ – ne respiro la resina – la neve cede il passo all’immenso. / E l’anima si ammanta di azzurro /riprende il suo battito. / E’un atto d’amore furibondo / il profumo del bosco”. – tratti da Il nido. Il distico che chiude questa lirica, con l’ossimoro di uno stato di veemente eccitazione riferito a una situazione ascensionale è di una purezza ispirativa incandescente.
Nei versi della raccolta l’autore, fine conoscitore della metrica, disobbedisce a qualsiasi forma cristallizzata, gettandosi nell’ardente materia creativa pregna di significati e suoni. La Poesia si percepisce quale legame concreto, da una parte descritto come presupposto originario, dall’altro come legame fisico, addirittura carnale. In grado di cogliere la polisemia di ogni parola Marelli evade dalla fortezza del vocabolario spingendo la lingua fino al limite estremo, consentendole di lanciarsi in una danza vertiginosa e facendola, a tratti, perdere nel gorgo di una materia lirica che è dolce uragano. “Cos’è questo demone / buono, che stride in petto /come il grido del rapace, / unisce il lesto andare / di nuvole bianche / all’immobilità del cielo / e chiede cosa manca / al furore delle mani?” – tratti da Eudemonia. Felicità in greco deriva da eu – daimon , significa che è felice colui a cui è toccato in sorte un buon demone, e il concetto viene tradotto come benessere, felicità. Si tratta di una fioritura interiore che dovremmo stimolare entrando in contatto con l’archetipo che guida le nostre passioni inconsce, con ciò che definisce la nostra essenza. Oggi si pensa con la categoria del particolare evitando la cornice dell’universale. Nella seconda sezione intitolata ‘Particularia’, il Poeta si sposta verso l’evocazione dei sentimenti e delle esperienze che riguardano la sua esistenza. La prima lirica, infatti, è un canto d’amore per il padre: “Non ho pianto abbastanza / per questa musica allacciata al cuore, / per questa radura immacolata di neve / che non vuole sciogliersi”. – tratti da Ricordo. I versi dell’autore sono scorci di infinito oltre le siepi della vita – mi perdoni il carissimo Leopardi -. trasporti di significati, che arricchiscono l’intera lirica di potenza espressiva. L’allegoria è la figura retorica amata dal Nostro, che ne fa un uso spontaneo, musicale, privo di tecnicismi e forzature. Calzante in questo senso la lirica dedicata ad Annalisa, dal titolo La Poesia è la morte mia: “Blaterate invano / perché non vi ha mai percorso / l’abbandono dei versi / il rifiuto di concedersi / all’arsura della neve” . I versi sembrano strutturati sul genere dell’invettiva, ma Marelli è abile nello smorzare i toni con la meccanica della natura, adottando l’ennesimo ossimoro, che sembra arrivare dalle labbra del cielo. La silloge rivela un uomo assente dal gioco di migliaia di specchi, dalle esibizioni, un Poeta visionario perso nel suo mondo, nell’infinita maestà del creato. “I poeti altezzosi sono patetici, / sono felice di coccolare i miei gatti / lontano dalla solitudine / delle loro imbellettate verità” – tratti da I gatti e il poeta. Esco in punta
di piedi da questa Silloge per non disturbare Dario Marelli. So che è seduto in una pineta, tra i papaveri e il foliage autunnale e i rami creano un arco naturale che gli consente di guardare il mare. Sorride con occhi fanciulli perso nel suo ‘amore furibondo’ per i profumi, i colori, le sensazioni e possiede una grazia mistica che mi commuove.
Maria Rizzi
2 Commenti to “Maria Rizzi su Le meccaniche dei fiori – Dario Marelli”
Dario Marelli è sempre stato il migliore
Grazie di cuore per questa magnifica nota critica che entra nelle pieghe dei miei versi con un acume incredibile, “toccando l’impossibile”. ❤️❤️❤️