Gala

Gala ha capelli di fieno, labbra di zucchero rosa, pelle d’ambra  e nocciole nello sguardo.
Ed ha un unico, preciso obiettivo. Quaranta.
All’inizio va per gradi, cinquantacinque, cinquantadue, cinquanta, quarantotto, quarantacinque,  via via fino alla meta.
Si sente forte Gala, fortissima. Ha il potere della sua fragilità, tiene a digiuno la vita per colpa di colpe non sue.
Si è imposta delle regole, mai ingerire qualcosa dopo le sette di sera, mai mangiare qualcosa più grande del palmo della sua mano, mangia in piatti piccoli per far sembrare le porzioni più grandi, essendo mancina mangia con la destra per rendere più faticoso il percorso del cibo dal piatto alla sua bocca, beve tre litri di acqua al giorno, fa estenuanti esercizi in palestra.
E se mangia più di quanto si è imposta corre immediatamente in bagno a vomitare. Si ficca due dita in gola fino a che tutto ciò che contiene il suo stomaco finisce nel water. Spesso da quella sua bocca di zucchero rosa esce anche sangue. Ma questo non la spaventa, anzi. Gala sa che non c’è vittoria senza sofferenza, e quelle strisce di rosso che scivolano lente verso il fondo bianco del gabinetto sono la conferma che sta lavorando sodo e bene. Vomiterebbe anche le ovaie se potesse, pur di sentirsi più leggera.
Quarantatre. Oggi c’è il sole e Gala ha dolori allo stomaco. Allora apre il frigorifero, prende un pomodoro, lo taglia in pezzi piccoli, aggiunge due foglie di lattuga e tre rondelle di cetriolo. Si siede a tavola, sola, sua madre è al lavoro, le ha appena telefonato per sapere se aveva mangiato le cotolette che aveva preparato per lei. Gala mente, dice “Sì mamma, certo, erano buonissime”. La madre tira un sospiro di sollievo, pensa che gliele preparerà di nuovo dopodomani, magari con un contorno di patate. Quella sua bambina così magra e così brava a scuola è il suo orgoglio, la sua unica soddisfazione, è davvero una figlia perfetta.
Gala prende le cotolette con due dita, apre la finestra del balcone e le passa oltre il muretto divisorio al cane del vicino che, scodinzolando, le inghiotte in un boccone.
Quarantadue. Gala odia sbagliare. Quando quella bastarda della prof di greco le aveva riportato la versione con due errori segnati in rosso, che le avevano fatto scendere il voto a sei e mezzo, Gala si era chiusa in bagno e aveva pianto. Non era quello il voto che era abituata a ricevere, mai sotto l’otto, questo il mio motto. E gliel’avrebbe dimostrato a quella bastarda. A lei e anche a sé stessa.
Quando tornò in classe sorrideva, come se niente fosse. “Professoressa mi interroga oggi?”.
“Va bene Gala, tanto ti sarebbe toccata”. Erodoto di Alicarnasso, Platone, Plutarco e la Moralia:

“L’uomo è padrone della miglior parte di sé stesso. Perciò noi non dobbiamo così avvilire e deprimere la nostra natura come se non potesse trovare l’ascendente sulla Fortuna, e come se non avesse niente di sicuro e stabile in essa. Ma noi dovremmo considerare piuttosto che, se alcuna parte di noi è sottomessa a questa, è solamente quella che è la più piccola, e anche la più impura e malaticcia; mentre le parti migliori e più generose di cui abbiamo il più assoluto dominio, e anche i beni più importanti, come la vera disciplina, una retta nozione delle cose, e i ragionamenti che come loro ultimo risultato ci portano alla virtù, sono contenuti in essa”.
E Gala, oltre a snocciolare tutta la lezione con precisi riferimenti ad autori ed opere, notò che quei concetti le calzavano a pennello.
Quarantuno. Gala ha deciso. Oggi andrà a farsi il piercing. Come quello della sua amica Violetta, ma più bello. Una piccola tartaruga d’acciaio a cavallo del suo ombelico, una tartaruga che, come lei, si nutre di cibo verde, che come lei viaggia lentamente, meticolosamente, verso l’obiettivo.
Quando il ragazzo che deve forarle la pelle vede quell’addome così incavato dice che non può farglielo il piercing. Gala protesta, insiste, dice che pagherà di più. Il ragazzo alla fine cede, è difficile prendere i lembi di quell’ombelico, ma alla fine la piccola tartaruga d’acciaio è al suo posto, lucida e simbolica. Gala è felice, non ha sentito dolore, solo una piccola fitta, ma è passato subito. E’ molto orgogliosa di quella sua tartarughina, ma non dice niente a sua madre. La sera, prima di andare a letto, si guarda nello specchio della sua camera e la tartaruga le sorride dall’ombelico: “Brava Gala, solo foglie di lattuga, mastica lentamente e a lungo”.
Gala va a dormire leggera e soddisfatta.
Quaranta. L’obiettivo è stato raggiunto. Ma visto che non è stato poi così difficile, perché non proseguire? Gala si guarda allo specchio, nuda. “Ho le cosce troppo grosse”, pensa. “E questi fianchi…enormi! E il sederone…mio dio come ho potuto non vederlo prima? Sono grassa, devo continuare a lavorare, non posso arrendermi”.
Gala prende un paio di jeans dall’armadio, sembrano quelli di un bambino, le gambe sottili come braccia, un piccolo polipo con quattro tentacoli sottili. Ci mette su una maglietta rosa che le lascia scoperto l’ombelico con la tartaruga.
Ancora quaranta. Oggi è domenica, Gala e sua mamma sono invitate a casa della nonna. C’è la pasta al forno, si sente l’aroma già nell’ingresso, la casa ne è impregnata. Gala si sfila il giubbino e annuncia che ha mal di stomaco e la nausea. La nonna non vuole sentire ragioni. “Mangia Gala, sei così magra, assaggiane solo un poco”. “Non ce la faccio nonna, davvero, non posso”. La nonna, solerte, le prepara del riso in bianco, con poco olio e parmigiano. Gala non lo finisce tutto e, discretamente va in bagno. Si inginocchia davanti al water, mette due dita in gola e si pulisce. Il sapore del parmigiano le dà la nausea, quella vera. Quando torna a tavola sorride. Sente la nonna rimproverare sua madre per la sua magrezza. “Devi portarla da un medico, non sta bene, non te ne accorgi?”
Sua madre cambia discorso, ha sua figlia sotto gli occhi tutti i giorni, facile criticare a distanza, lei quella figlia se l’è cresciuta da sola, contro tutto e contro tutti, la sprona ogni giorno a mangiare, a studiare, a fare bene, ad emergere, mica è facile da sole, che ne sai tu? E poi Gala sta benissimo, certo è un po’ magra, ma mangia tutto quello che le preparo, guardala com’è bella.
Trentanove. Bisogna festeggiare. Gala è stata davvero brava. Mangia un piccolo panino tonno e pomodoro al compleanno di un’amica, beve due bicchieri di Cocacola. Light. E balla, balla fino a sfinirsi, balla con la tartaruga in bella mostra, con quel pancino introverso e retroverso, con quelle gambette magre e quel piccolo sedere tondo e aggraziato, balla con i capelli che fluttuano a destra e a sinistra, una ciocca color fieno le si appoggia su una guancia umida. Guarda un ragazzo dagli occhi blu e lui ricambia il suo sguardo e le sorride. Gala é felice.
Trentotto. Piove e Gala sente freddo nonostante abbia addosso tre maglioni e i riscaldamenti sono al massimo. Sono tre mesi che non le arrivano le sue cose, meglio così, un fastidio in meno. Gala va in cucina e si fa un thè leggero con foglie di menta e un cucchiaino di zucchero di canna. Lo beve bollente, ma neanche così si riscalda. Platone la aspetta di là e pure dodici pagine di storia e gli esercizi di inglese. Gala passa davanti allo specchio del salotto, ma non nota le occhiaie profonde, i capelli opachi, il naso prominente, senza più guance attorno. Non ha voglia di studiare, non ha voglia di chiamare Violetta, forse non ha più voglia di vita.
Trentasette. E poi trentasei e trentacinque. Gala non va a scuola, non ce la fa. La tartaruga appesa al suo ombelico sembra voler venire giù. La mamma ha preso una settimana di ferie dal lavoro, ha deciso di portare sua figlia da un medico. Lo studio del dottore ha le pareti verdine e riproduzioni di Klimt alle pareti. Lui ha l’aria severa, dice “poteva portarmela prima signora, ora la situazione è disperata”. Dice “disperata” sibilando la esse e alla mamma di Gala questa parola esplode nella testa come un tuono. Dice che Gala deve essere ricoverata, assistita, riportata a condizioni normali. E che ci vorrà del tempo. Gala ascolta in silenzio. Il dottore dice alla madre “Mi lasci parlare con sua figlia. Da solo”. Lei esce e si siede in sala d’attesa, sconfitta. I colori delle riproduzioni di Mirò le sembrano troppo accesi, troppo vitali mentre sua figlia è in una situazione “disperata”. Forse per colpa sua.
Trentacinque. Gala aveva capelli di fieno, labbra di zucchero rosa, pelle d’ambra  e nocciole nello sguardo. Gala odiava sbagliare, era una perfezionista. Ma poi ce l’ha fatta, è arrivata alla meta, anzi è andata oltre, ha superato sé stessa ed ora, per premio, vola in alto leggera, mentre tutto si fa più piccolo e sfocato, la mamma, la prof, la scuola, il dottore, Violetta, il ragazzo dagli occhi blu che le sorride.
La tartaruga appesa all’ombelico non ce la fa a riportarla a terra.