TRATTI IN CHIAROSCURO – Elena Malta

Tratti in chiaroscuroElena Malta

ETS Edizioni 2014
Nel 2014 viene pubblicata la sua seconda raccolta di poesie, dal titolo: “ TRATTI IN CHIAROSCURO dalla Editrice ETS di Pisa, come opera vincitrice, al 1° posto, del Concorso letterario Il Portone di Pisa. La raccolta ha la preziosa prefazione del Prof. Nazario Pardini, pubblicata anche nel Web, in ‘Alla volta di Leucade’ di martedì 27 gennaio 2015. “Tratti in chiaroscuro” tratteggia le variegate onde emotive del vivere, in un respiro di tempo, il presente, come spazio esperienziale a tutto tondo, che si raccorda al passato e si proietta verso un futuro, alla ricerca di tasselli di identità. “L’endecasillabo è il suo verso. L’espressione limpida del suo sentire. Elena pensa in endecasillabi e il fiorire dei suoi versi ne é la prova tangibile. Si respira il soffio dell’autentica vocazione artistica.Un’altra voce, la sua, che merita di essere annoverata tra i talenti puri di questo secolo. Sono onorata di esserle amicata e orgogliosa di leggere i suoi versi di raso commentati dall’immenso Nazario!”  Maria Rizzi Dalla Nota critica di Nazario Pardini comparsa su: “Alla volta di Leucade” Camminiamo su vie  buie la cui uscita ci è ignota Come ogni donna, strega e un po’ gitana, viaggio su meridiani paralleli rammendo giorni a fil di ragnatele, schivo dirupi come fa un capriolo, sollevo i sogni in volo fino al cielo (Ritratto)

Poesia chiara, densa, stuzzicante, i cui versi, con euritmica armonia, concretizzano impatti emotivo-intellettivi di proficua vis creativa. Iniziare da questa citazione testuale significa, in gran parte, andare a fondo della poetica di Elena Malta. Dacché questi incipitari tatuaggi di generosa espansione umana disvelanti luci ed ombre, ci introducono, con impiego di costrutti figurativi, in quello che è il prosieguo dei risvolti esistenziali della silloge. Un momento di prodromica valenza ad uno spartito che ci dice di vita, di sogno, di amore, speranza, illusione, delusione. Insomma di tutti quei sentimenti che alimentano il nostro vivere e che si fanno anche motivo di inquietudine e malum vitae  per un senso di precarietà che attanaglia il nostro essere. Si vive coscienti dei dirupi che ci attorniano, delle perplessità che si inanellano sul cammino della nostra vicenda umana: quelle spirituali, quelle inquietanti  per le aporie di un mondo carente di umanità, di un mondo omologato verso spersonalizzazioni di una società liquida, o quelle dei tanti perché che non trovano risposte ai quesiti dell’essere e dell’esistere. E si ricorre al sogno, all’immaginifico, come alcove edeniche delle nostre insoluzioni; al memoriale, depositario di antiche primavere, di realtà macerate in un animo impaziente di riportarle alla luce. E il tutto con un sapiente accostamento a moduli ritmici, e prosodici, a contenuti di urgente resa poetica. Solo conoscendo le regole si è in grado di destrutturale per creare cospirazioni dall’intensità di un melologo. E qui la perfezione dell’endecasillabo, usato in tutte le sue varianti, distribuito in strofe rimate in ABBA, in ABAB e impreziosito da assonanze, allitterazioni, fonosimbolismi, metaforicità o rime libere, fa di questo verseggiare una romanza dai toni lirici:

Se fossimo rimasti a decifrare le rune misteriose di un amore, scaldandoci le mani a quel tepore nessuno avrebbe osato derubare le liquide speranze delle aurore… (Avremmo fatto meglio), Una romanza sapida di abbrivi erotico-emotivi che parla del rapporto della vicenda umana col tempo. Che riporta memorie, ripensamenti di cose non fatte o non dette, di amori lasciati all’abbandono, o di sottrazioni “di liquide speranze delle aurore”. Il tempo fugge, ed il presente è irraggiungibile, non si può vedere in faccia per parlargli e chiedergli risposte alle nostre insoluzioni, al perché delle nostre melanconie: La sera si avviluppa sui lampioni schermando il giallo alone che ne piove. E camminiamo al buio queste vie e calpestiamo sassi ad ogni passo ed inciampiamo sempre, ad ogni svolta. E mai che ci si accenda dentro il cuore di tendere una mano solidale… ( Pochi passi).

Quanta vicinanza alle ristrettezze dell’esser-ci in questo passo: camminiamo vie  buie la cui uscita ci è ignota; vie piene di inciampi e di curve che rendono incerto e problematico il nostro andare: ognuno di noi si dovrebbe rendere conto che la nostra permanenza non è altro che un tempo prestato dalla morte, per cui  dovrebbe tendere una mano a un gesto solidale. E  la Nostra si rifugia in quietezze di immagini di amore oblativo; di figure cariche di lontananze affettive, rimaste in petto, solide, a gridare amore per padri, per aquiloni colorati, per abbracci e strinte di mani su strade felici:

E, mentre noi così si camminava, la voglia tua sentivo di narrarmi degli aquiloni e come li pensavi e li tendevi in aria colorati, a un filo impercettibile ancorati. (…) Anche se il tempo, ormai da tempo, padre, decise di slegare a noi le dita” (Al passo tuo). Un memoriale caldo, fortemente sentito, trascinante e abile nel dribblare il sentimentalismo con controllata effusività; un repêchage di giorni di sole e di verdi primavere in cui l’anima volava sicura appigliata a pilastri d’amore. È per questo che la Nostra vuole raccogliere con premura i suoi pensieri per paura di smarrirli dentro un vicolo randagio; per paura che la voracità dell’oblio ne faccia incetta; è così che vuole sprofondare in una sciarpa calda e protettiva “un ornamento al collo, una collana/ di fragili conchiglie della riva;”. D’altronde  la vita  è fragile come una conchiglia sbatacchiata dalle onde del mare; la vita è soggetta all’umore dei giorni, alle rocambolesche vicissitudini degli eventi; e l’anima non fa a tempo a correre dietro alle ingiustizie della quotidianità, ne resta afflitta, scossa, delusa; quella dell’Autrice ambirebbe ad un mondo migliore; ad un mondo in cui il sentimento di pace e di fratellanza potesse prendere il sopravvento sulle miserie della società. È questo che appare dal dipanarsi delle pièces della plaquette: non solo l’inquietudine esistenziale per l’impossibilità di scoprire l’anello mancante, ed entrare così nei misteri del tutto; ma anche quei problemi sociali che emergono con virulenza agli occhi di ognuno, colpendo i più deboli. Ma tanto spazio occupa il sentimento dei sentimenti, quello che si fa motore dei subbugli interiori: l’amore. Eros e thanatos. L’amore vissuto in tutta la sua generosa portata, più bella e meno bella. In tutto il suo climax. Dal desiderio di vincoli appassionati alla melanconica impossibilità d’intendimenti: Ci sono pochi passi a separarci, appena un paio in tutto, li ho contati, ma io non ho più voglia di chiamarti e tu neanche quella di fermarti… (Pochi passi). Forse, scrive la Poetessa: avremmo fatto meglio a sparpagliare il gioco delle carte dei destini, restando ancora un poco sotto i pini i sogni di un amore a interpretare… (Avremmo fatto meglio). Ma c’è il dolore con il quale la fatica del mondo danza in armonia. Una malinconia che la Nostra prova e che confessa apertamente nei suoi versi: Al vento che dà i brividi alla notte, fra tegole sconnesse sopra i tetti, ha fatto la mia anima un’alcova e si concede al vezzo della luna che prende a illuminarci nei recessi. (…) Nessuna grazia vince quel pudore a far vedere chiaro il mio dolore… (Sui tetti).

E la natura, con tutta  la sua potenza cromatica, si fa incontro all’Autrice. Diventa attrice prima col suo potere identificativo, esemplificativo, paradigmatico, col suo potere concretizzante. Fino ad esplodere in un canto in cui la  vigna esuberante di profumi, i pampini, i moscerini, i raccolti, i mosti, i bei verdi, il sole d’ambra, le foglie smeraldo si miscelano in un bucolico afflato di vita rurale dal sapore di ovidiana memoria. Un canto in cui Elena Malta dà tutta se stessa, tutto il suo sentire, disseminandolo in una Danza d’autunno:

… Scorre più lenta nelle nervature la vita di smeraldo delle foglie. Lasciamoci inebriare dai colori, usciamo a passeggiare nelle vigne. E mi piace chiudere questo mio scritto con smarrimenti di malinconie in naturismi storditi dallo spirito dei mosti; in naturismi ove “una vigna esuberante di profumi/ veste le trasparenze già mature/ che i pampini faticano a celare.”