FRAGMENTA – Maria Luisa Daniele Toffanin

Fragmenta_ToffaninMaria Luisa Daniele Toffanin
Marsilio Editori – Elleffe, Venezia 2006
Nota critica di Nazario Pardini sul BLOG: Alla volta di Leucade

Vola alto, Maria Luisa Daniele Toffanin, in questa silloge poetica dall’emblematico titolo: Fragmenta. I suoi sono, infatti, frammenti di vita dello spirito che si nutrono di memoria e di sentimento, di realtà e di sogno, con una ricerca, quasi spasmodica diremmo, del bello e del buono ad un tempo. È una raccolta di liriche con al centro la figura femminile immersa nella natura, che è bosco, mare, ma anche cielo, azzurro. sole, riflessi, e in questo ambito, in questo rincorrersi di colori e di effluvii, immagini splendenti e suggestive, come il cuore che è “…anche luce di viole fiorite | sulla linea ultima del giorno che a noi così non muore. | Miracolo, poeta, l’infinita nostra attesa”. Il libro della Toffanin, che si avvale di notazioni critiche (ovviamente, altamente, positive) del cattedratico dell’Università di Padova Mario Richter, e del poeta Andrea Zanzotto, rappresenta una ricerca lirica e stilistica durata un decennio, e gli esiti sono — come si diceva all’inizio — di alto livello. Non sono estranei, peraltro. in queste poesie. le esperienze vissute nel secolo passato, secolo di pena, di dolore, di sofferenze, da tanta parte dell’umanità. Ecco, allora, una particolare attenzione dell’autrice a una vicenda familiare: catturato dai tedeschi all’indomani dell’8 settembre 1943. il padre di Maria Luisa fu uno dei seicentomila e passa internati militari italiani (IMI) nei lager nazisti: come Guareschi, Novello, Piasenti, Coppola, Tedeschi, Paci, Rebora (Roberto: poeta e critico), Lazzati, Ascari, e via elencando. “La grande attesa”, reca come una sorta di sottotitolo: “Campo di Benjaminow (ndr, cittadina polacca) n. 5437″ e sottolinea i silenzi, il `”pudore-dignità-sudario” caratterizzanti l’atteggiamento paterno, appunto: di un genitore che scelse e patì, conservando a duro prezzo la sua dignità; poi, tornato in Patria, ecco un grande pudore nel rievocare quella traumatica esperienza. Nazario Pardini