Su: Materia Grezza, di Aurora De Luca

La recensione di Stefano Valentini

“Che tu abbia Materia Grezza/ e genuina essenza”, recita un distico della giovane Aurora De Luca, dal quale proviene il titolo di questa sua seconda raccolta (la prima è del 2012) che presenta un importante corredo critico dovuto a Sandro Gros-Pietro, Franco Campegiani, Domenico Defelice, Sandro Angelucci. La “materia grezza” è “legno di zattera”, è vento “che sa di posti che non ho veduto”, ma è anche semina e linfa e germoglio, è “primizia euforia” che ci spinge all’azione e al movimento: per usare un termine biologico, è cellula staminale pronta a trasformarsi e differenziarsi in declinazioni di parole, di idee, pensieri. Frequente la presenza nel discorso di un “Tu” , interlocutore che appare amorosamente reale ed emozionante- “ il tempo che il cuore mette / a tornare a posto dopo essersi visti”- e con il quale è stabilito un rapporto di reciproca esortazione, di incoraggiamento propositivo, incanalato nella purezza delle immagini: “Che ci sia in noi questa stupita euforia, / e permanga, / si, come montagna immobile, / nella sua respirabile seta d’aria”. Lo sguardo deve sapersi muovere oltre l’apparenza; “Ci sono ovunque promesse di vendemmia”, tra “morbidezza di spine” e “attimi di puro cielo”. Ancora: “ Ovunque scorgo gemme / premature / …/ vedo il nero e il buio e la notte / spazi, vuoti, tunnel senza aria/ / e tutt’intorno trovo gemme di luce”. Un atteggiamento e un’indole chiaramente ottimisti, entusiasti come è giusto sia in uno spirito giovane, ma non in modo cieco: sono benevoli nella nostra condizione umana proprio per l’assunzione della “materia grezza” a paradigma di base. Ciò che è grezzo, infatti, deve ancora differenziarsi, deve ancora decidere se diventare bellezza o dolore, e forse è possibile fare in modo che scelga d’essere fiore anziché pietra, fuoco anziché gelo. Certo, talora si fa strada il dubbio dell’inadeguatezza della parola poetica: “Ma che dolore vivere di carta, / non saperti dire niente / di come le pareti della mia casa / siano / cellulosa umida”, subito però tramutata- Aurora De Luca dimostra una notevole fantasia immaginifica- nella solidità dei ciottoli, che costruiscono un sentiero destinato a sfociare nell’incontro tra “ noi necessari a noi / non per diritto / ma per miccia d’innesco”. Il discorso d’amore, rischioso per qualsiasi poeta, raggiunge qui accenti originalissimi, con un filo “ che collega questo corpo / all’aria del mondo”: si leggano, ad esempio, “A naso”, “Vento pietra e risacca, “Da ogni opposto lato”, ma anche molte altre. L’amato è “ fiore bianco, / nella carne delle mie dita”, in un continuo e riuscito accostamento e scambio tra spirito e corpo, tra idealità e materia. Anche l’amore, del resto, è materia grezza, anche l’amore può diventare cose assai diverse tra loro , dagli accenti eluardiani (“il giorno in cui saremo tutti nostri”, con i versi che seguono) o cosmici (“ addiviene presto il tempo giusto / per tutte le cose eterne del mondo”) , passando per la sensuale sontuosità della tradizione spagnola (“ quando mi tieni come miscela gustosa / da bere di sete ed ore /…/ quando il mio petto è il tuo dolore / e il tuo dolore è la mia notte da vedetta di mare”). I contrari si svolgono in identificazione (“Altra terra è la terra”, “Tu la terra io il mare”), nella “armonia audace / tra la sorgente e la sua foce, / tra la gioia dolcissima / e la salatissima paura”. Sinceramente, da molto tempo non leggevamo poesie di tema amoroso così convincenti, conturbanti, inventive: indubbiamente fortunato il destinatario ma fortunato anche il lettore, cui è dato il dono di un libro bello, riuscito, appagante sotto ogni punto di vista.
STEFANO VALENTINI