Storia di un viaggio in barca

Non tutti quelli che possiedono una barca a vela la utilizzerebbero al posto del treno o della propria automobile; non tutti, ma noi invece sì. Decidere di usare la barca per recarsi alla fiera di Bari, partire da Grado un Sabato mattina e rientrare la Domenica della settimana seguente, includendo tre giorni di fiera, è forse un po’ da matti. Si aggiunga a questo  una intera settimana di tempo pessimo e si potrà forse avere una pallida idea di che cosa sia stato questo viaggio.
Questa storia è un resoconto un po’ stringato, preso dalle note del giornale di bordo di Re Artù, questo è il nome della barca, uno sloop di 43 piedi della Jeanneau.

Giorno della partenza.

Partiamo da casa con l’auto, un SUV della Volvo, carico fin quasi a scoppiare. Da Udine a Grado sono circa quaranta chilometri, percorsi con l’equipaggio stipato tra un bagaglio e l’altro e l’autista, cioè io, che a malapena riusciva a girare il volante.
Scaricare la Volvo e sistemare tutto in barca ci prende tutto il pomeriggio e alla fine, stanchi ma soddisfatti di poter rispettare la tempistica ci stendiamo sulle cuccette e piombiamo in un sonno ristoratore.
Il mattino seguente ci aspetta una lunga giornata di navigazione. E’ Sabato, il piano del viaggio è stato preparato accuratamente e va rispettato: Mercoledì bisogna essere a Bari e avviare i preparativi per la Fiera.
Si parte da Grado, provincia di Gorizia, alle 08,00 del mattino, con un tempo piovoso e un debole scirocco.
Non è l’ideale per prendere il mare e per giunta non abbiamo neanche carburante.
A Grado non c’è distributore in porto, con una tanica abbiamo messo 20 litri di gasolio, per poter arrivare ad Umago, in Croazia, e fare il pieno. Purtroppo lo scirocco ci costringerà ad andare contro vento ed a motore.
L’equipaggio è costituito da me Fulvio, mio figlio Flavio e tre suoi amici di lavoro, Luca, Claudio e Giulio, tutti e tre alla loro prima esperienza di barca a vela.
Lo scirocco ha alzato un po’ di mare e la barca viaggia sbandata, beccheggiando e spesso immergendo il musone nelle onde. Violenti spruzzi di mare, spinti dal vento, giungono fin dietro al pozzetto: per fortuna che abbiamo lo spry hood che ci ripara.
Un po’ bagnati, arriviamo ad Umago alle 10,38 del mattino. Ormeggiamo sul fianco al pontile della polizia.
Espletate le pratiche d’ingresso in Croazia e fatti 132 litri di carburante al distributore, che è al altro lato del porto, ripartiamo alle 11,30, diretti a Sud.
C’è dapprima un po’ di sole, poi è di nuovo coperto. Dopo un alternarsi di sole e nubi, dal pomeriggio il cielo è decisamente coperto.
L’Istria purtroppo non ci ripara dallo scirocco e procediamo come prima, tra spruzzi che ci schiaffeggiano e ci costringono a stare dietro lo Spry Hood lasciando il timoniere solo a bagnarsi.
Superiamo la città di Pola che è pomeriggio.
Siamo costretti a navigare con un’onda lunga in prua che ci dà un alquanto fastidio. Pioggia e cattivo tempo ci accompagnano per il resto della serata.
E’ notte, non si vede quasi nulla, solo pioggia ed all’orizzonte un faro, quello dell’isola di Susak, Sansego in italiano.
Sisak è un’isola tutta di sabbia, con una collina di sabbia compattata ed un piccolo paese di poche anime.
Le case sono basse, al massimo di un solo piano e  in fondo al paese una stretta stradina sabbiosa si inerpica sulla collina. Il verde è scarso e aride radici lottano per la vita emergendo dalla sabbia nel tentativo di catturare quel poco di umidità che di mattino offre la rugiada.
Per fortuna conosciamo bene l’isola, ci siamo già stati un paio di volte e così riusciamo a capire dove andare e dove attraccare.
Alle 21,15 siamo ormeggiati a fianco della banchina d’ingresso del minuscolo porticciolo.
All’ interno qualche barca dondola pigramente, mossa dal vento che in parte riesce ad entrare, nonostante venga da sud.
Noi ci saremmo riparati volentieri dentro, ma non possiamo perché il fondale è basso e ci incaglieremmo; tra l’altro non c’è neanche posto, pieno com’è di piccole barche.
Un po’ stanchi, ci sistemiamo, assicuriamo bene gli ormeggi ed andiamo a mangiare del pesce nell’unico ristorantino del paese, appena alla fine del porticciolo. Il terreno è di sabbia inzaccherata e stando molto attenti riusciamo a sporcarci solo un po’ le scarpe. Ceniamo accanto ad un altro gruppo di italiani, allegri e chiacchieroni, dei marchigiani che stavano trasportando a casa una barca appena comperata in Croazia.

18 Aprile. Domenica.

Ci svegliamo verso le 08,00, un po’ tardi….sentiamo il bisogno di recuperare la stanchezza della notte precedente. Si fa colazione.
C’è tempo: abbiamo tre giorni per essere a Bari. Tutti decidono di fare una breve visita all’isola mentre io resto in barca per pulire il pozzetto che fa veramente pena dalla sporcizia, tanto l’isola la conosco bene.
Lasciamo Susak alle 10,00, in direzione dell’isola di Premuda.
Pioggia, pioggia e sempre pioggia, assieme allo scirocco, perennemente sul muso.
Per ridossarci dal mare e per godere del paesaggio passiamo all’interno dell’arcipelago delle Kornati, isole che sono sempre bellissime. Cominciamo finalmente a vedere il sole e non piove più.
Passiamo tra un’isola e l’altra in un incredibile paesaggio di mare e di terra, bordeggiando su un’acqua cristallina mentre tutto intorno regna un silenzio innaturale come se tutta la natura avesse il fiato sospeso, in attesa di qualcosa.
Le prime isolette sono ricche di vegetazione e poi, man mano che procediamo all’interno dell’arcipelago, le altre appaiono sempre più spoglie, con macchie di oliveti e qualche raro casolare di pescatori.
Finite le Kornati usciamo in mare aperto attraverso lo stretto passaggio di Proversa Vela, largo non più di cinque, sei metri, e con poco più di due metri di profondità. Sulla sinistra un piccolo casolare bianco occhieggia al nostro passaggio mentre noi alterniamo lo sguardo tra l’ammirare quella splendida natura e il guardare con preoccupazione il basso fondale e le coste pericolosamente vicine alla nostra barca.
L’acqua è trasparente e ci incanta con i suoi colori. Costeggiamo le ultime coste frastagliate, a picco sul mare, ammirando un paio di imponenti fari abbandonati, mentre ci godiamo il sole di cui avevamo veramente bisogno.
Alle 19,00 arriviamo a Piskera e superati due isolotti, Panitula Vela e Panitula Mala a sud Ovest dell’isola di Piskera, attraverso una stretta insenatura risaliamo ad un marina, dove decidiamo di ormeggiare per la notte. Non ci sono servizi igienici né docce, però c’è almeno acqua e luce.
Rimandando a dopo la cena, facciamo una breve passeggiata per goderci il tramonto e la vista del mare dalla cima dell’isola.
Ci inerpichiamo attraverso i sassi fino alla sommità, dove rimaniamo affascinati dallo spettacolo del mare e del sole all’orizzonte. Sulla sommità della piccola collina incontriamo un altro gruppetto di italiani, “ma sono dovunque?”, che è lì a godersi il tramonto e l’immensità della solitudine.

19 Aprile. Lunedì.

Svegli alle 06,30, lasciamo Piskera con destinazione Lastovo, una delle ultime isole che vanno da Ploce a Dubrovnik  la più vicina per l’ultimo salto verso Bari, la nostra meta.
Non la raggiungeremo, se non con un giorno di ritardo sul previsto.
Il tempo è incerto, vento, freddo e cielo coperto. Più tardi esce un pochino di sole, ma fa sempre abbastanza freddo ed il vento è come al solito in prua.
Siamo costretti ad andare sempre a motore con poca vela. Il mare è leggermente mosso e al mascone di prua. Alle 09,45 il mare peggiora, è cresciuto molto, è diventato molto grosso in prua con un vento contrario di una quindicina di nodi.
Abbiamo un programma da rispettare e dobbiamo andare avanti. Il mare è sempre più grosso e il vento in prua sempre più forte.
 Lungo il percorso incontriamo un Bavaria 38, con tedeschi a bordo, che procede sotto vela. Decidiamo di divertirci un po’ ed ingaggiamo battaglia.
Via il motore e fuori tutte le vele. Lo raggiungiamo, lo superiamo,….cambiano rotta per evitare la “figuraccia”. Li lasciamo andare per un po’, poi viriamo di bordo e siamo di nuovo a caccia del Bavaria: lo raggiungiamo, lo superiamo di nuovo, poggiando un po’ per la verità, poi, soddisfatti li salutiamo e ci rimettiamo in rotta.
Purtroppo per il mare ed il vento contrari dobbiamo rinunciare ad arrivare a Lastovo, abbiamo in vista l’isola di Vis che solo dopo molta fatica a vela e motore riusciamo a raggiungere.
Ci sono ancora due giorni di tempo per rispettare il programma e possiamo concederci questa sosta imprevista.
Alle 16,30 ormeggiamo in porto a Komiza, il porto principale dell’isola in una baia aperta ai venti e al mare ad ovest-sud ovest.
Ci manca come al solito carburante, ma non c’è un distributore. Ci dicono di andare  al paese di Vis che è ad una decina di chilometri, purtroppo sull’altro lato dell’isola.
Per fortuna l’uomo che è venuto per raccogliere le Kune per la sosta di Re Artù è molto gentile e convince un pescatore a darci una trentina di litri di gasolio, che aveva da parte per la sua barca.
Komiza è un bel paesino, sdraiato ad abbracciare dolcemente la baia.
Lo visitiamo a piedi, facciamo il giro della baia fino all’altro lato estremo dal quale possiamo vedere Re Artù che, ormeggiato al lungo molo di ingresso pare salutarci da lontano, rassicurandoci di essere ben ormeggiato e tranquillo. Non si sa mai.
Questo lato della costa è molto verde, pieno di alberi che ci regalano una fresca ombra nella calura del pomeriggio.
Rientriamo in paese, comperiamo una lampadina per il fanale di navigazione di poppa, che era fuori uso, e poi ci sediamo ad un piccolo bar sulla passeggiata del porto. Ci godiamo una birra, ammirando il tramonto ed il passeggio degli isolani.

20 Aprile. Martedì.

Vorremmo arrivare a Bari in giornata, così come programmato all’inizio del viaggio, per avere un giorno di margine sugli impegni che ci attendono.
I ragazzi devono giungere in tempo per l’allestimento finale del ”edil expo” alla fiera di Bari e per gli ultimi preparativi.
Ci svegliamo di notte dopo poche ore di sonno ed alle 02,15, molto prima dell’alba, salpiamo dall’isola di Vis con destinazione Bari. In verità la maggior parte dell’equipaggio, ancora “intontita” ritorna a dormire ad eccezione di me e mio figlio Flavio: qualcuno doveva pur pilotare la barca.
Subito fuori del porto ci siamo resi conto che quella sarebbe stata una brutta giornata.
La barca è sbattuta dal vento in prua e da grosse onde, che non si vedono a causa dell’oscurità.
Più tardi, con il venire dell’alba ma non del sole, essendo il cielo pieno di nuvole nere e minacciose di pioggia ed il mare plumbeo ed ostile, si sveglia il resto dell’equipaggio.
Con aria ancora assonnata tutti escono nel pozzetto, guardano il cielo e il mare minaccioso, vengono bagnati dagli spruzzi delle ondate da prua.
Quasi tutti iniziano a star male.
Flavio, intanto, va a letto per riposare un paio d’ore: mi darà il cambio più tardi, così almeno è nelle intenzioni. Vi rimane molto di più, sta male e vomita diverse volte. Anche Luca vomita, mentre Giulio, pur avendo nausea, non riesce a dar di stomaco.
Il mare intanto diventa sempre più grosso, con onde alte e ripide, ed il vento aumenta. La barca si inerpica sulle onde e precipita giù, ad incontrare l’onda successiva, sbattendo il ventre con grandi schianti sull’acqua.
Io sono rimasto solo al timone, mentre Giulio mi guarda preoccupato.
Decido di ridurre la randa. Blocco e abbandono il timone. Mi precipito al winch per ridurre la vela. Giulio non capisce subito che sto facendo, mi guarda esterrefatto: “forse sono impazzito improvvisamente”?
Ridotta la vela torno a timonare.
E’ duro accompagnarla nei continui contatti con le onde e far si che non sbatta troppo. Io cerco di prendere il mare al mascone, ma la barca è come un cavallo imbizzarrito e dopo un po’ di tempo immagino di essere su una giostra. I movimenti sul timone divengono ripetitivi ad ogni grossa onda, si sale su, su e poi di nuovo giù, scivolando in fondo al incavo per poi risalire di nuovo: quasi quasi mi diverto, ipnotizzato da quel pericoloso gioco.
Vorremmo continuare per Bari, ma sarebbe troppo sofferto e troppo lungo per tutti, così alle 13,00 dietro suggerimento di Flavio, che nel frattempo è risuscitato, decidiamo di dirigerci a Vieste, sull’estremità orientale del Gargano, per terminare prima possibile quell’inferno.
Intanto le Tremiti ci accompagnano, rimanendo sempre sulla destra della nostra rotta: pare che non vogliano mai scomparire all’orizzonte.
“ L’unico modo per soffrire di più, la prossima volta, è quello di andare a Bari in ginocchio sui ceci” dice Giulio con viso sofferto.
Continuiamo così per ore: “occorre avere pazienza, prima o poi finirà”, mi sforzo di pensare.
Così, come Dio vuole, alle 16,00 arriviamo a Vieste. Ormeggiamo nel marina (è un po’ grossa chiamarlo così) e facciamo 36 litri di carburante con due taniche che ci facciamo prestare dal benzinaio, al quale abbiamo telefonato perché viene solo su appuntamento.
Quella del carburante, a quanto pare, è una penosa e ricorrente storia.
Tiriamo un sospiro di sollievo: anche questa è fatta!
Finalmente ci facciamo una doccia, ceniamo e ci concediamo un meritatissimo riposo.

21 Aprile.Mercoledì.
 
Svegli alle 05,00, si parte per Bari alle 05,30.
Il vento è da Nord Ovest, non molto forte, solo 10/15 nodi, il cielo promette bene: finalmente sarà una bella giornata.
Il mare ci accompagna, con le onde a favore.
Si viaggia bene con vele e motore.
Abbiamo issato il gennaker, la navigazione con il vento in poppa è un piacere. L’aria è fresca, il vento relativo è praticamente inesistente.
Il gennaker gonfio manifesta una sensazione di potenza: è un piacere guardarlo mentre procediamo sicuri verso la meta.
Abbiamo una media di più di otto nodi e mezzo, con punte di dieci nodi. C’è il sole, niente nubi.
Finalmente una bella giornata propizia.
Goduria: questo sì che è navigare!
Prendiamo il sole, tanto alla rotta ci pensa il pilota automatico.
Dopo sessanta miglia di bella navigazione, arriviamo a Bari alle 12,15.
Il porto di Bari si manifesta in tutta la sua grandezza. Mentre entriamo ammiriamo delle grosse navi mercantili alla fonda, che lentamente lasciamo scorrere a poppa, scivolando silenziosi su un mare piatto e liscio come l’olio.
Attracchiamo al pontile della Lega Navale, infilandoci nell’unico posto libero tra due barche.

22 Aprile. Giovedì.

La mattina viene spesa alla Fiera del Levante.
Mentre tutti vanno via io resto a bordo per dei “lavoretti” a Re Artù, che si sono manifestati necessari nei giorni precedenti.
Verso le 14,15 ritornano gli altri, assieme al loro capo, il responsabile commerciale, e due greci, un rappresentante della Azienda ed un grosso cliente.
Quest’ultimo è appassionato di mare e di vela e si dichiara entusiasta di uscire in barca per un giretto appena fuori del porto.
Non avrebbe potuto chieder di meglio. Approntiamo velocemente la barca, sulla quale per l’occasione abbiamo issato sullo strallo di prua un grosso guidone aziendale, e lasciamo gli ormeggi.
Questa uscita in mare potrebbe meglio propiziare il contratto per il quale questo cliente è venuto a Bari.
Si esce dal porto alle 14,30. Il tempo è splendido, si va un po’ di bolina, un po’ ad andatura portante con l’asimmetrico.
Gli facciamo timonare la barca, tante battute di spirito, tutti contenti…. si conclude con un contratto per 3000 tonnellate di vergella, niente male!
Si rientra in porto alle 16,30.
Tanto per cambiare abbiamo bisogno di carburante, pensavamo di fare il pieno, ma nel porto di Bari non c’è un distributore. Non si sa com’è, ma non c’è mai un distributore quando serve.
Con le solite taniche imprestate da un benzinaio fuori dal porto e l’aiuto di una macchina dell’Azienda in un paio di viaggi riusciamo a fare 165 litri di gasolio.
Speriamo che assieme al carburante che forse è rimasto nel serbatoio riusciamo ad arrivare a Grado.
Si cena e si va a nanna su Re Artù: siamo troppo stanchi per pensare ad una passeggiata in città.

23 Aprile. Venerdì.

La mattina viene trascorsa in fiera per lavoro. Vado anche io, solo per curiosare, naturalmente. Ci sono tante cose veramente interessanti per l’edilizia.
Incontro anche Roberto, un mio amico che fa l’espositore. Mi aiutò a portare a Grado il primo Re Artù, un Perversion 37 piedi che acquistai a Roma nel 93.
Più tardi, approfittando del ritorno alla sede della Lega Navale dove ci attende Re Artù, faccio un breve giro in città. Non ero mai stato a Bari, trovo la città abbastanza interessante, peccato che il sole e il caldo non me la fanno godere appieno.
E’ giunta l’ora di intraprendere la via del ritorno.
Partiamo da Bari alle 15,30. Il tempo è assolato, con vento da 30° EST.
Facciamo rotta diretta per Grado, impostando il pilota automatico con 330° di prua.
Il vento è poco e il mare è piatto: procediamo come se fossimo un peschereccio.
Sul golfo di Manfredonia incontriamo un po’ di foschia. Per il resto della giornata la navigazione prosegue tranquilla, con mare sempre piatto e senza vento.
Al calar della sera accendiamo le luci di navigazione: quella rossa di prua non funziona. E’ la seconda che va in avaria durante il viaggio; a bordo non abbiamo ricambi e siamo costretti a farne a meno.
La faccenda non è del tutto allegra perché di notte, da quel settore, saremo quasi certamente invisibili.
Per prudenza teniamo in pozzetto un potente faro di emergenza, per meglio segnalare la nostra presenza ad eventuali imbarcazioni che dovessero passarci vicino.
Io vado a dormire per qualche ora. Al risveglio Flavio mi dice che un grosso traghetto ci è passato accanto proprio dal lato “sbagliato” e ci ha fatto delle segnalazioni luminose Morse. Lui non ha capito niente ed ha risposto con dei segnali luminosi con il faro: chissà quelli del traghetto che avranno pensato…
Il resto della notte prosegue tranquillo con mare calmo e pochissimo vento.

24 Aprile. Sabato.

Siamo al centro dell’Adriatico, all’altezza di Giulianova. Le condizioni di mare e di vento non sono cambiate, sono quelle della notte appena trascorsa.
Di mattina presto, mentre navighiamo tranquilli e assorti nella pace degli elementi, si verifica un improvviso calo di velocità della barca.
Il motore gira bene.
Probabilmente qualcosa si è impigliato sotto la barca- Diminuiamo i giri motore, andiamo in retro, viriamo…finalmente si riprende. Queste manovre ci hanno liberato.
Verso le ore 12,30, con mare sempre piatto, comincia a levarsi un vento molto fresco,ma debole, da Nord. Avvistiamo sulla nostra sinistra, a circa 200 metri di distanza, un corpo galleggiante alla deriva con sopra dei gabbiani, che lo hanno adottato come zattera.
Cosa sarà mai? Probabilmente un tronco trasportato in mare dal precedente cattivo tempo.
Quando ci passa più vicino si avverte un odore nauseabondo. Lo guardiamo meglio: non ci giurerei, ma sembra il cadavere di un uomo. Flavio ne sembra più sicuro, vede i piedi…Che facciamo? Lo prendiamo? Non lo prendiamo?
Decidiamo di lasciarlo andare per la sua strada: dove lo avremmo messo? La polizia Croata ci avrebbe bloccati per giorni!
Lentamente il corpo scivola via e si perde all’orizzonte con gli uccellacci sempre su di esso.
La giornata prosegue noiosa fino alle 18,00.
Siamo in vista di Susak, che è a circa 15 miglia ad EST.
Inizia a levarsi una leggera bora.
Possiamo finalmente issare le vele. E’ una fortuna, visto che non abbiamo abbastanza carburante.
Issiamo la randa ed il gennaker, si viaggia bene senza motore. Facciamo sette nodi e mezzo, con punte di nove. La barca è quasi con la falchetta in acqua e la base del gennaker pure.
Alle 18,30 la bora rinforza ed una raffica molto più intensa delle altre fa straorzare la barca.
Flavio è al timone. Io mi precipito a lascare la randa, nessuno interviene sul gennaker, che con un botto improvviso esplode.
La vela è in parte in acqua e sta andando sotto la chiglia: vado a prua e non senza difficoltà la recupero. Una parte strappata è però impigliata nella crocetta più alta e non vuol saperne di venir via.
Il vento è sempre più forte.
Per tirarla giù facciamo virare la barca. Appena in tempo, si sta scatenando l’inferno. Se il resto della vela fosse rimasto ancora impigliato, non so come sarebbe finita.
Non sappiamo dove poter andare: a dritta vi sarebbe Susak, ma è contro vento e contro mare e non ci arriveremmo mai, altri ridossi non ce ne sono.
Pensiamo di proseguire verso nord, per ridossarci dietro l’Istria, ma questa è troppo lontana, almeno trenta miglia, ed in quella direzione andiamo sempre più in pieno Quarnaro.
Intanto sopraggiunge il buio, il mare è sempre più “incazzato” con onde enormi ed un vento che ci inonda di violente secchiate d’acqua. La barca salta, si schianta nel cavo dell’onda, risale, precipita, rolla paurosamente.
Qualcuno comincia a fare una veloce disamina dei suoi peccati…
Decidiamo di fuggire la tempesta e di lasciarci portare verso Ovest.
In men che non si dica siamo quasi a metà Adriatico.
Saremmo arrivati a Ravenna e poi? Oltre a soffrire per un lungo tempo, non siamo del tutto sicuri che lì avremmo potuto entrare in porto e trovare scampo.
Flavio decide che è meglio ridurre le vele e dare motore: ci dirigiamo di nuovo a Nord, sfidiamo il Quarnaro e tentiamo un ridosso in Istria.
Il problema è che siamo veramente a corto di carburante, se finisce siamo definitivamente nei guai!
Sono ore ed ore di sofferenza.
La barca sbatte impazzita, il mare è una serie di montagne che ribollono con onde che talvolta passano anche sopra il pozzetto.
Il faro di Plicina Albanez è sempre lì alla nostra dritta e sembra non volersi mai allontanare…
Alla fine, grazie a Dio, alle quattro del mattino entriamo nella baia di Veruda e il gasolio non è ancora finito, anche se l’indicatore di livello segna uno sconfortante zero.
Con l’aiuto del faro di emergenza entriamo nello stretto passaggio che ci porta all’interno della baia e gettiamo l’ancora in quindici metri d’acqua.
Siamo stanchi, fradici, ma felici. Abbiamo solo voglia di andare a dormire.
Giulio, che è tanto buono, ci prepara un thè caldo.

25 Aprile. Domenica.

Svegli alle nove.
Il carburante è finito. Non c’è problema, nella baia sappiamo che c’è un distributore. Faremo il pieno e, poi, via di corsa a Grado.
Una veloce colazione, su l’ancora, riattraversiamo lo stretto passaggio e raggiungiamo l’altro lato della baia per fare gasolio.
E’ Domenica, il distributore è chiuso! O aspettiamo l’indomani, oppure, ci dicono, l’unica cosa è noleggiare un taxy e fare carburante a Pola.
Siamo demoralizzati.
Non ne posso più di andar per mare: quando non c’è cattivo tempo non ci sono i servizi più elementari!
Poi, finalmente, un po’ di buona sorte: incontriamo una persona molto gentile che si offre di darci un po’ del gasolio che ha da parte per le barche da charter.
Ci porta tre taniche, per circa 80 litri in totale, di gasolio rosso, colorato, per i pescherecci, ma sempre buono, dice.
Ci aiuta a travasarlo, senza spandere una goccia, con una tecnica da professionista che ci lascia meravigliati. L’indicatore della barca segna appena poco meno della metà; basterà ampiamente, dobbiamo fare poca strada e, poi, abbiamo pur sempre le vele ed il vento questa volta pare favorevole.
Sono le 11,00. Si salpa per casa, ci sono 12 nodi di reale da EST, si va a vela con un po’ di motore: abbiamo fretta di arrivare.
Man mano che risaliamo verso Nord, aumenta la bora. Per fortuna siamo ridossati dall’Istria.
C’è un po’ di sole e un po’ di nubi, procediamo ad una media di otto nodi e mezzo.
Superato capo Salvore entriamo finalmente nel golfo di Trieste, il cielo è limpido, la visibilità è notevole, in lontananza si vedono le Alpi Giulie , con un po’ di neve.
C’è bora, forte ma non eccessiva, e onda. A noi, dopo l’esperienza trascorsa sembra mare piatto e calma di vento: tutto è relativo!
Giungiamo in porto alle 18,15, c’è corrente e vento e l’ormeggio non è facilissimo. Pieghiamo un candeliere che interferisce con quel maledetto gancio di inox che ho messo sulla bricola per sospendere le cime di ormeggio. Dovrò sistemare la faccenda. Intanto smonto il candeliere: lo porterò da Serigi per farlo riparare.
Viste le avventure e la meteo avversa, questo viaggio è andato fin troppo bene.
Ho deciso che non mi metterò più in mare con tempo dubbio, soprattutto se dovrò navigare dalle parti delle Tremiti o, peggio, del Quarnaro……