Mario e Franco: i terroristi

M.: Parlano, gridano, sbraitano per ottenere dai soliti buon pensatori, buoni lavoratori, gente per bene, voti che saranno determinanti a mantenerli sui seggioloni dell’ambizione, della frode, dell’egoismo. Camionette, esercito: le forze crescono.
F.: Ne abbiamo fatta di esperienza noi due. Ti ricordi le prime scaramucce del ’68 lungarno, quando per la prima volta scrivemmo “polizia fascista”. Mi parlavi della tua rottura con la sinistra ufficiale. Non era più una garanzia per il proletariato. Il proletariato aveva bisogno di una rivoluzione immediata per restaurare la sua dittatura. Il comunismo stava diventando ormai un partito legalizzato, un partito riformista, si adeguava ad una mentalità e ad una cultura moderata, impegnato a trasformare il paese attraverso un processo non necessariamente rivoluzionario.
M.: Questo è il nostro neomarxismo. Il nostro impegno è quello di togliere di mezzo il vecchio. Una visione illuministica della storia: Rousseau, Babeuf, Marcuse forse non sono stati maestri. Rompere con ogni mezzo istituzioni, strutture che reggono in piedi il sistema. A quante operazioni hai preso parte? Io a diverse e tu?
F.: Anch’io, ma una in particolare la ritengo mia e mi resta sempre davanti agli occhi. Lo feci secco con un colpo e feci a tempo a vederlo in un lago di sangue. Diceva che un’autostrada, 1500 miliardi, politicamente era più proficua di una serie di centri specializzati, perché questi meno negli occhi delle persone. Al mio paese non sono pochi ad essere morti per la mancanza di tali strutture specifiche; se si moltiplica per tanti altri paesi, io ne ho ucciso uno solo, ma quello ne ha uccisi più di me. E poi non mi parlare di neomarxismo, lo sai che siamo diversi.
M.: Dimenticavo che sei cattolico; a forza di lottare assieme per le solite cose ci si affratella e si dimenticano le sfumature.
F.: Io non parlerei di sfumature. Noi lottiamo assieme perché d’accordo nel distruggere una società non giusta. Ci serviamo di tutti i mezzi, impegnando drogati, emarginati, il filone degli underground, come lo chiamano gli intellettuali. Ma poi ? Una nuova rivoluzione fra le mie e le tue idee, forse. Perché io credo in Dio e non accetterò mai, certamente, un’atea dittatura del proletariato, con la conseguente negazione dei diritti umani e civili, punto primo dei diritti divini. La società non ha aiutato certamente fino ad ora la realizzazione della giustizia divina. Ultimamente soprattutto per l’atteggiamento delle forze clericali. Il mio cattolicesimo è diventato un cattolicesimo manicheo. Io lotto contro il male per il bene, aiuto il mio Dio col mitra. Io sparo a un ministro una sola volta e tolgo di mezzo uno, forse, che uccide ogni giorno. Ho perduto la mia fede metafisica. Nella morte ritrovo tutto quel senso di assoluto che la chiesa non riesce più a dare.
M.: Ti ricordi questo fazzoletto. Lo tengo per ricordo. Si metteva sulla bocca nelle prime scaramucce, per non farci riconoscere. Non ti potrei vedere mai come un nemico.
F.: Ti sembra. Ora lottiamo contro un comune nemico, la Storia. È il motivo che ci tiene uniti. Domani saremo costretti a lottare fra noi, perché nell’ambizione della Storia stessa costituiamo due diverse realizzazioni.
M.: Siamo sicuri di operare con la nostra volontà o forse siamo strumenti in mano di qualcosa; il sangue di cui si nutre la Storia stessa per crescere continuamente.
F.: Guarda quanta gente transita, lavora, organizza e noi crediamo nel non lavoro. Da ragazzo mi chiedevo se fossi matto io, oppure tutto il resto del mondo. Mi rispondevo che tutto il resto del mondo mi avrebbe messo in manicomio con le mie idee. Io non avrei certamente potuto mettere il resto del mondo in un manicomio. Allora è solo problema di spazio, pensavo, e non di struttura mentale. Se ci fosse tantissimo spazio, ci potrebbero essere possibilità per tutti, in una società alla ricerca dei singoli beni. Quanti manicomi ci vorrebbero per attendere la morte. Ma io credo nella morte: nella morte degli ingiusti, come assoluto, in vista di un mondo di giusti. Dovrei ricredere poi nell’Aldilà, nella resurrezione della carne. Forse diventerei un conservatore in un mondo bisognoso di nuove spinte.
M.: Tu sei destinato a vedere nella morte una speranza in un modo o nell’altro. Non ti sottometti al pensiero della fine dell’uomo col suo corpo. Per me è la fine del singolo, è scomparsa totale dell’individuo. Ma dovrebbe essere programmata da noi per il bene della società
F.: Andiamo ci attendono. Alle 5 l’attentato. Il materiale esplosivo è pronto, giù ci sono gli altri due. In quella sede elettorale ci saranno civili, militari, padri di famiglia. La Storia ha bisogno di sangue, per ora noi siamo i carnefici nelle sue mani e i giustiziati sono tutti innocenti.
M.: Scendiamo, la macchina è in moto.
ALTRO: Via!, mancano solo pochi minuti. Io grido, voi lanciate.
F.: Attenti ci indicano l’alt.
M.: Vai avanti ! Vai avanti !
ALTRO: Quelli sparano.
M.: VAI! VAI!
La macchina esplode.
M. e F. vengono lanciati fuori, hanno il tempo di guardarsi prima di morire, dilaniati da quegli ordigni preparati per uccidere: il loro compito l’avevano assolto.