ll mio alfabeto italiano

“Oggi a scuola abbiamo giocato con le lettere dell’alfabeto, mi è piaciuto tanto, sai… E tu lo conosci bene l’alfabeto italiano?” Mi chiede Laura, la mia piccola vicina di casa.
“Certo che lo conosco, e come! Vuoi che lo ripetiamo insieme? A, B, C, D, E, F, G, H, I, J, K, L, M, N, O, P, Q, R, S, T, U, V, W, X, Y, Z”
“Brava! Ed ora cerchiamo di trovare le parole che cominciano con queste lettere:
A – anguria. B?”
“B – birichina (come te…). C ?”
“C – cioccolato!”
Ci divertiamo molto con Laura, lei mi sorprende sempre con la sua curiosità, fantasia e il suo simpatico modo di essere. Questa bella ricciolina mi ha coinvolto nel suo gioco, e non volendo ha toccato un tasto molto sensibile per me… Mi ha fatto ricordare la vera storia del “mio alfabeto italiano”, di come l’ho imparato io…

*****
Sono le 21.50, sto salendo le scale… Suono in campanello, nascondendo il fiatone, che mi è venuto non so se dalla salita al 4° piano a piedi (non funzionava l’ascensore) o dal timore di non essere accettata in questa famiglia per il lavoro, di cui avevo disperatamente bisogno. Sono venuta per fare la prova come badante notturna, una esperienza per me nuova, mai fatta. Un gentile signore con i capelli brizzolati mi ha accolto e dopo avermi mostrato l’appartamento, mi ha invitato ad entrare in una stanza in fondo al corridoio, dove mi ha presentato Anna ,sua moglie.
La signora mi stava fissando con uno sguardo inquieto e diffidente. Aveva il viso magro e le linee acute, era immobile sul letto e respirava attraverso una macchina, con le cannule che arrivavano alla sua gola e la sua bocca. Suo marito mi ha spiegato che il mio turno comincia alle ore 22.00 e finisce alle 7.00. In queste 9 ore devo sorvegliare la signora. Ogni ora circa, devo svuotare la condensa che si forma nella cannuccia. Se si accumula troppo catarro nei polmoni bisogna svegliare qualcuno della famiglia che le fa l’aspirazione con una macchina speciale. Quando la signora me lo chiede, devo massaggiarle i piedi e le mani e pulirle la bocca con un fazzoletto, e ovviamente, non devo dormire tutta la notte… Tutto qui.
Mi fa accomodare su una sedia, vicino al letto della signora, e il marito mi mostra come farle il massaggio ai piedi e alle ginocchia. Nel frattempo, lui le parla dolcemente e chiede le cose, mentre io sto aspettando meravigliata, pensando a come lei risponderà, perché la sua bocca è impedita dalla cannuccia. Il marito comincia a dire: A, B, C, D, E, F… poi una piccola pausa, e di nuovo: A, B, C, D, E, F, G, H, I, L, M … e ancora: A, B, C, D, E… Ho pensato: che cos’è, è un gioco? No, affatto. Per comunicare con la signora bisogna citare le lettere dell’alfabeto, quando arriva quella giusta, lei ti guarda. Poi devi ricominciare l’alfabeto, finché non indovini la seconda, la terza, la quarta lettera… Mettile insieme, ed ecco la parola. In questo caso, la signora diceva “finestra”, e cioè chiedeva di chiudere la finestra. È veramente un modo geniale per comunicare con una persona colpita dalla sclerosi multipla, impedita a camminare, a parlare, ma non di pensare e capire tutto ciò che sta succedendo intorno a lei. Durante la mia prima notte di prova, il signor Alberto mi ha lasciato in quella stanza tête-à-tête con la signora, ma veniva spesso a controllare, come stava lei e come mi trovavo io. Verso le 3.00 ho avuto un crollo, avevo tanta voglia di dormire, ma cercavo di resistere. Mi distraevo guardando la TV, sfogliando le riviste, ma sorvegliavo sempre la signora.
E così è arrivato il mattino. Il signor Alberto entrò nella stanza, mi ringraziò e mise sul letto 60 mila lire… Mi ha sorpreso molto, non mi aspettavo di essere pagata alla fine del mio primo turno. Ci siamo salutati ed io, tenendo i soldi in mano, ho fatto le scale di corsa, pazza di gioia, pensando: questo vuol dire che mi hanno presa al lavoro! Ecco il mio autobus, parte proprio dalla fermata vicino alla loro casa, alle ore 7.10!
La mia vita in questo piccolo paesino nelle Marche da quel giorno era condizionata in questo modo: una notte lavoravo, la notte successiva riposavo a casa… Ogni mio turno lo affrontavo con molta responsabilità, essendomi resa conto che per nove ore avevo nelle mie mani la vita di quella povera signora.
Pian piano avevo imparato a “parlare” con la mia assistita, le prime volte ascoltavo tutte le lettere della parola, per capire cosa desiderava la signora, ma poi riuscivo a capire fin dalle prime tre lettere.
A, B, C, D, E, F…
A…
A, B, C, D, E, F, G, H, I, J, K, L, M, N, O, P, Q, R, S, T, U, V, W, X, Y, Z

F-A-Z – fazzoletto! Lo chiedeva quando sentiva che dalla sua bocca usciva la saliva. In realtà, i “fazzoletti” erano tovaglioli da tavola tagliati in quattro, ogni sera dovevo preparare un mucchietto di fazzoletti, che sarebbero serviti durante la notte…

M-A-S – massaggio! Quando toglievo la coperta e vedevo il suo corpo magrissimo – pelle e ossa – mi si stringeva il cuore dal dispiacere. Mentre le massaggiavo le gambe, guardavo la parete di fronte, dove c’erano tante foto della signora, quando era ancora sana e felice. Aveva capelli rossi tagliati corti, era bellissima, allegra e solare, sempre accanto al marito e ai figli. Eccoli a fare il bagno al mare, eccoli in montagna a sciare e poi a Parigi… La felicità di questa famiglia è stata barbaramente rubata dalla malattia che si chiama “sclerosi multipla”…

F-I-N – finestra! Questo significa che ho dimenticato di chiudere la tenda, e la luce della luna le da fastidio. Quante volte mi sono fermata vicino a questa FIN-ESTRA alle 2.00, alle 3.00 di notte, guardando le case di fronte immerse nel buio, illuminate solo dalla luna e dalla piccola luce dalla nostra stanza, che era accesa sempre, ormai da 10 anni…

A-C-Q – acqua! La signora non chiedeva mai l’acqua da bere, ma segnalava così di svuotare il tubo, dove si accumulava la condensa. Mentre le staccavo per un attimo la cannuccia dalla macchina (per la procedura), mi rendevo conto che per questo istante la sua vita è nelle mie mani; i suoi occhi rispecchiavano in questo momento la sofferenza, il dolore e la stanchezza del suo lungo calvario…

T-E-L- televisore! Prima pensavo che lei mi chiedeva di spegnere il televisore. Ma poi ho capito che voleva solo alzare un po’ il volume, in tutti questi anni la signora era abituata al dolce mormorio della TV e sentiva subito questa mancanza. Anzi, sentiva e capiva tutto, mi chiedeva pure di rimettere sempre il suo canale preferito – il 5! Televisore… Lo guardavo con grande nostalgia e amarezza, perché non significava per me solo il trasmettitore, ma un mio mondo “prima di venire in Italia”, la mia vita e anche il mio lavoro (in Ucraina facevo la giornalista televisiva). L’amore per il mio unico figlio e il desiderio di vederlo laureato come me, mi ha spinto a lasciare la mia carriera all’apice e partire per l’ Italia per fare dei lavori dove non occorre la laurea. Certo, mi mancavano i miei programmi televisivi che io conducevo, la mia città, la mia famiglia, ma mi consolava il pensiero che questo mio sacrificio era ricompensato molto bene (in due notti guadagnavo quasi il mio stipendio mensile in Ucraina…)

N-O-N D-O-R – non dormire! Mi diceva così, vedendo i miei occhi stanchi. Verso le 3.00 avevo sempre la crisi di sonno, ma resistevo. A volte chiudevo gli occhi solo per 5 minuti, verificando la mia “assenza” con l’orologio elettronico di fronte. Una notte il mio corpo non reggeva più… Avevo passato tutto il giorno all’ospedale da mio marito appena operato e la notte sono venuta al lavoro. Non riuscivo più a resistere, così ho ceduto al torpore… Ho riaperto gli occhi dopo quaranta minuti circa, ed il mio sguardo ha incrociato subito lo sguardo di Anna, molto preoccupata. Pensate al terrore di una persona che non può chiamare nessuno, chiedere aiuto se le serve… Per fortuna, non è successo niente, ma da allora ho cercato di fare diverse attività, per impegnarmi tutta la notte e combattere contro il sonno: guardavo la TV, leggevo qualcosa, scrivevo le lettere a casa. Spesso portavo la lana e i ferri per dedicarmi a fare la maglia – ancora oggi porto i maglioni e gilet, creati durante quelle notti di lavoro!

F-I-G – figli! Così chiedeva, quando voleva chiamare qualcuno dei suoi figli (per fare l’aspirazione oppure per le altre cose “da infermieri”). Certo, non erano infermieri di professione, ma per necessità. La figlia era laureata in giurisprudenza, il figlio era laureato in architettura, ma non hanno mai lavorato dopo l’Università, perché hanno dedicato la loro vita alla Mamma malata. Loro facevano l’assistenza giornaliera, ed io e un’altra ragazza facevamo, alternate, l’assistenza notturna. Non ho mai sentito né dai figli né dal loro papà una lamentela riguardo a questo sacrificio, vedevo solo il GRANDE AMORE che provavano per la loro MAMMA.

V-O-G-L-I-O M-O-R-I-R-E… Questa frase, presa dal linguaggio “alfabetico”, lettera per lettera, dagli occhi della povera signora Anna, mi aveva commossa… Lei era stanca di combattere la malattia, era stanca di vivere e tenere cinque persone a lei dedicate: due figli, marito e due badanti notturne, e chissà quante volte, nel suo silenzio e dolore, lei pregava il Signore di portarla via…

T-I V-O-G-L-I-O B-E-N-E… Mi ha detto questa frase, quando ci siamo salutati dopo il mio ultimo turno. Ero costretta a lasciare questo lavoro perché mi sono trasferita in un’altra città. Ho dedicato alla signora Anna ben 15 mesi, affrontando con sentimento quasi materno la mia assistita. Qualche tempo dopo i suoi figli mi hanno telefonato, dicendo che la loro mamma era morta in ospedale. Accanto al suo capezzale c’erano loro due e il loro papà. La mamma li ha guardati con uno sguardo pieno di amore e poi si addormentata… questa volta per sempre.

Due anni dopo ero di passaggio in quella cittadina e, con enorme sorpresa ho incontrato la figlia della signora Anna, che portava nel passeggino un bel bimbo, allegro e sorridente. Ci siamo abbracciati a lungo, ho saputo che Melissa si è sposata con il suo “storico” fidanzato che l’aveva aspettata tutti questi anni. Suo fratello ha fatto un corso di aggiornamento ed è entrato nel mondo lavorativo, e anche lui è sposato e ha avuto una figlia. Ero molto contenta dalle belle notizie, questa felicità la meritavano.

*****
“Ed ora, Laura, facciamo un gioco nuovo: tu mi dici pian-piano tutte le lettere, ed io ti guardo negli occhi, quando ne scelgo una. Tu la scrivi, poi ricominci, e così finché non costruisci una parola”.
“OK! Cominciamo!”
“A…”
“A, B, C, D, E, F, G, H, I, L, M, N”
“A, B, C, D, E, F, G, H, I, L, M, N”
“A…”

“A-N-N-A. Ho indovinato? Chi è questa Anna?”
“È una signora a cui volevo tanto bene…”