La sfera

La sfera

Erano ormai due anni che viveva da solo. Dopo la morte della moglie che era stata la sua compagna per oltre 50 anni, aveva ritrovato un suo equilibrio. La solitudine gli pesava molto ma poteva contare sulla presenza dei figli e dei nipoti che spesso lo andavano a trovare ed altrettanto spesso lo invitavano a casa loro per pranzo o cena.

Dopo il primo periodo di sconforto e di confusione, passato loro ospite, aveva voluto riprendersi la sua autonomia, le sue abitudini. La necessità di sbrigare le faccende domestiche e di prepararsi da mangiare sembrava non preoccuparlo minimamente. Aveva conservato i suoi ritmi, la cura del suo aspetto, l’abbigliamento raffinato. L’interesse per gli avvenimenti e per le cose che gli stavano attorno gli consentiva di essere apprezzato dagli amici e dai conoscenti, sempre sorpresi del fatto che avesse ormai già compiuto 82 anni.

Un giorno, uno dei tanti che si susseguivano simili, successe qualcosa, un fatto apparentemente insignificante che, in breve, avrebbe sconvolto – è proprio il caso di dirlo – la sua esistenza.

Lì per lì non si sorprese quando, rassettando la camera da letto, vide una piccola sfera, dall’apparenza metallica, accanto ad una gamba dell’armadio. Pensò che fosse una biglia rotolata sotto il mobile e dimenticata, chissà quando, dal nipotino più piccolo che spesso aveva trasformato la camera da letto in accampamento indiano o in nave spaziale con tanto di alieni al seguito. La raccolse, era grande quanto una noce, di colore nero con riflessi metallici, non molto pesante, strana. La osservò nel palmo della mano, la superficie era perfettamente liscia e sembrava dura come poteva essere una sfera di acciaio, il peso non corrispondeva ad una sfera di metallo pieno e non si intravedevano giunture o saldature.
Si portò vicino alla finestra per esaminarla alla luce intensa, si aggiustò gli occhiali ma nessun ulteriore particolare emerse. Altri pensieri stavano distraendo la sua attenzione perciò decise di riporla sopra la credenza nel ripostiglio: alla prima occasione avrebbe chiesto ai nipoti se era un loro giocattolo.
Mentre si avvicinava allo stanzino con la biglia stretta in pugno ebbe la sensazione che da questa si propagasse alla sua mano uno strano pizzicore, una specie di formicolio simile a quello provato quando aveva dovuto sottoporsi ad alcune terapie per un dolore che lo aveva colpito alla scapola. Non si ricordava bene il nome ma conosceva il principio: una corrente elettrica applicata alla parte interessata stimolava la guarigione, era necessario regolare l’apparecchio affinché si verificasse un buon passaggio di corrente senza però produrre un effetto doloroso. Lo stesso formicolio lo stava provando ora, mentre teneva la sfera nella mano… Strano, andava aumentando, ora ricordava quasi una serie di punture di spillo.
Di scatto gettò la sfera sul piano della credenza ed il fastidio cessò. Osservò perplesso i riflessi metallici che risaltavano ancor di più alla luce della lampadina nuda del ripostiglio. Decise di andarsene, ripromettendosi di esaminare meglio quel misterioso oggetto in un altro momento.
La giornata passò tranquilla, uguale a tante altre ed alla sera il ricordo di quella particolare pallina era sepolto tra altri pensieri più ricorrenti e normali. Preparare la cena, rimettere in ordine le stoviglie, guardare il telegiornale, scrivere la lista delle spese da fare il giorno successivo, aspettare la telefonata dei figli, chiudere le tapparelle, dare due giri di chiave alla porta di ingresso, sedersi in divano e saltare da un programma televisivo all’altro fino a che la noia non si fosse trasformata in sonno.

Aveva imparato a non riflettere troppo sui gesti quotidiani altrimenti si sarebbe riaperta la sensazione dell’assenza. Assenza della compagna di una vita, assenza di un’aspettativa di vita, assenza di un obiettivo, assenza di una fede certa.

Si svegliò d’improvviso come se qualcuno lo stesse scotendo violentemente ed il ricordo della sfera nera si stagliò nitidissimo nei suoi pensieri. Anche se preso da una certo affanno, non volle rinunciare al caffè che poteva sorbire tranquillamente disteso a letto; una bottiglia termica ben riempita la sera precedente gli offriva, al mattino, una abbondante tazza fumante del liquido nero ben zuccherato. Aspettò che il suo organismo, come al solito, si riattivasse per il merito congiunto di caffeina e di questa ritualità consolidata, infilò le ciabatte, transitò per il bagno e si ritrovò nel ripostiglio a fissare ciò che aveva ritrovato sul pavimento della camera il giorno precedente.
Restò attonito, la sfera era lì dove l’aveva lasciata ma … ma … sembrava più grande! Era incerto, si decise a raccoglierla e a soppesarla con la mano. Scacciò l’ansia che cominciava a salirgli pensando che alle volte, ad una certa età, la memoria gioca brutti scherzi e fissò nella mente le nuove dimensioni che ora corrispondevano a quelle di una pallina da golf.
Col passare dei minuti si ripeté quella curiosa sensazione di pizzicore al palmo della mano; aspettò che aumentasse ricordando la sensazione di punture provata il giorno prima ma, piano, piano, dal punto di contatto tra sfera e la sua mano si irradiò una sensazione di calore. Non provò né fastidio né timore per questa stranezza ma vi si abbandonò tranquillamente. Era piacevole.
Senza particolari riflessioni posò la sfera di nuovo sulla credenza e riprese la vita di sempre. Non disse a nessuno, nemmeno ai suoi figli, di aver fatto quel ritrovamento e in un angolo della sua mente continuò ad essere convinto che la sfera fosse aumentata di dimensione.

Non passò molto tempo quando, un giorno nel quale non aveva gran che da fare, decise di capire di che materiale potesse essere fatta. Forse da ciò si sarebbe spiegato quella sensazione che immancabilmente riceveva ogni volta che la raccoglieva e la teneva nel palmo della mano.
La prese dal posacenere dove l’aveva riposta, la sistemò tra le ganasce della morsa che da tempo faceva parte delle attrezzature disponibili nello sgabuzzino e, con una lima, tentò di inciderne la superficie.
Malgrado gli sforzi e la pressione che esercitò non ottenne alcuna scalfittura sulla sfera che rimase assolutamente intatta. Si accanì diversi minuti provando molti attrezzi, ma senza risultato. Il piccolo globo conservò il suo aspetto levigato e totalmente uniforme: una superficie, in apparenza metallica, di colore scuro, lucente ….. Si fermò un attimo pensieroso. Quando l’aveva raccolta – ricordava benissimo – era perfettamente nera, con riflessi metallici ma nera! Ora l’aspetto era scuro sì ma grigio, lucente, traslucido, assomigliava molto da vicino una grossa perla di ematite.
Decise che per un po’ non si sarebbe più interessato alla cosa e ripose l’oggetto nel cassetto della credenza in modo da eliminarlo dalla vista e dall’intrusione nei suoi pensieri e nella sua vita.

I giorni successivi andò ogni tanto a controllare che fosse al suo posto e non notò assolutamente variazioni di aspetto. Passò del tempo fino a che una sera decise di raccoglierla e di tenerla stretta nel pugno mentre, come al solito, era seduto davanti al televisore. Fu pervaso da quella sensazione di calore che immancabilmente si sprigionava dalla sfera e dolcemente si addormentò sognando vortici di luce alternati da ricordi della sua gioventù.
Si svegliò all’improvviso faticando ad orientarsi. La vista delle immagini di una pubblicità tormentosa che scorreva sul video lo aiutò a riprendere il controllo di sé. Immediatamente dopo, la sensazione tattile si incrociò con lo sguardo. Attonito si ritrovò in grembo una sfera delle dimensioni di una arancia.
Tremando, vincendo a fatica l’impulso di gettare lontano quell’oggetto inquietante, si alzò e andò a riporlo nello sgabuzzino. Non si rese conto per quanto tempo, appoggiato alla parete, osservò confuso la sfera. Il cuore gli batté all’impazzata per un po’, poi tutto si normalizzò: in fin dei conti l’aspetto della “cosa” non gli risultava per nulla ostile. Anzi ora il colore grigio metallico era virato verso una tonalità più dorata, più calda e sulla superficie poteva vedere il riflesso delle cose che le stavano attorno.

Da quel momento la sfera fu la presenza centrale della sua vita. Dall’esterno tutto sembrava eguale e consueto: i rapporti con i figli e i nipoti che andava a trovare molto spesso, le relazioni con i vicini di casa e con i conoscenti ai quali dedicava una piacevole attenzione, la cordialità verso i pochi amici che conservava ancora anche se vedeva di rado. Quando si ritirava in casa ecco che la sfera acquistava una importanza primaria. Le dimensioni erano ormai imponenti. Aveva da tempo capito che l’aumento di volume era correlato al contatto che avveniva tra le sue mani e l’oggetto anche se ultimamente sembrava crescere, in proporzione, sempre meno.
Aveva dovuto trasportare una poltrona nello sgabuzzino sulla quale l’aveva posata in modo stabile. Non provava nessun timore per quella presenza anche se non riusciva a mettere insieme ed a trovare coerenza tra diversi aspetti. Un oggetto inanimato dall’apparenza metallica non si legava al fatto che potesse crescere nelle dimensioni. Non riusciva nemmeno a capire come, toccandola, potesse ricavarne quella sensazione di calore senza che la sfera fosse apparentemente un oggetto caldo.
Aveva accettato la cosa ed ora la cosa gli era quasi indispensabile. Praticamente non passava sera che non si accoccolasse vicino alle sfera e posasse le sue mani su di essa fino a farsi avvolgere da quella sensazione piacevole che immancabilmente ne scaturiva. Da quel momento in poi entrava quasi in trance e nella sua mente cominciavano a scorrere come da un vecchio film le immagini della sua vita.
Riemersero ricordi completamente sepolti nei labirinti della memoria. Si stupì non poco nel rivedersi da bambino in maniera così vivida. Le sue memorie iniziavano da una certa giornata, in braccio a sua madre, mentre sua sorella versava nello scolapasta una quantità enorme di spaghetti. Tra i vapori e gli odori della cucina era nata la sua coscienza di esistere.
Le visioni si susseguivano una dopo l’altra: il periodo della sua fanciullezza riempì diverse serate. Non aveva mai conosciuto suo padre, morto quando era ancora troppo piccolo per ricordarsene. La sua gioventù era trascorsa sballottato tra la città e la campagna. Durante l’inverno a casa, anzi nell’albergo che sua madre tentava faticosamente di mandare avanti, a dispetto dei fratelli che facevano di tutto per sperperare quei pochi quattrini guadagnati con l’affitto delle camere. D’estate in campagna dagli zii, dove ritrovava le sue più grandi passioni: un cavallo pezzato e due stupendi cani.
Tutte le giornate erano passate all’aperto e concluse, a sera, in una piccola stanza ricavata a fianco del granaio. Sembravano danzargli ancora sotto i piedi le ombre dei gradini della lunga scala di legno rischiarati a mala pena dalla fiammella della piccola lucerna a olio. La lucerna era importante per lui, era la sua lucerna! Era forse l’unico oggetto che veramente possedeva, tutto il resto era provvisorio, condiviso, prestato. Nemmeno il piatto di minestra nel quale tuffava il cucchiaio poteva considerarlo acquisito, un cliente dell’ultimo minuto poteva farlo svanire all’improvviso.
Il suo primo stipendio di commesso: anche quello era un ricordo scolpito! Non aveva fatto in tempo a salire le scale di casa che un turbine aveva già carpito la busta che teneva in mano. Sua madre non aspettava che quei pochi quattrini per tentare di tamponare una situazione disperata.
Poi le cose erano migliorate e aveva finalmente potuto godere di una certa tranquillità. Appassionato di teatro andava tutte le settimane a vedere gli spettacoli al ridotto. Con un gruppo di amici aveva accesso gratuito alla sala con il solo onere di arrossarsi le mani nell’applaudire con entusiasmo le varie compagnie che si alternavano alla ribalta.
Da spettatore era poi diventato attore. Era stato il periodo più significativo della sua giovinezza, anzi della sua esistenza. Sulla scena aveva conosciuto quella che sarebbe diventata la compagna della sua vita. Sorrideva ancora al pensiero; uno schiaffo, come da copione, ma arrivato sulla sua guancia con troppa energia, era stato la scintilla di un dolcissimo e intenso rapporto d’amore.

Una sera fu preso da un’ansia incontenibile che in breve divenne quasi panico. Gli risultò improvvisamente evidente l’assurdità della situazione: un oggetto pazzesco, sconosciuto era diventato imponente a tal punto da non poter più essere fatto passare dalla porta del ripostiglio. Apparentemente senza utilizzare alcuna energia, era cresciuto conservando la sua forma geometrica perfetta, di purezza assoluta. La sua superficie era incorruttibile, compatta, impenetrabile.
Afferrò un martello e, su quella sfera ormai diventata enorme, cominciò a picchiare e a menar colpi all’impazzata. Uno dopo l’altro, senza interruzione, con tutta la forza di cui disponeva. Il martello si abbatteva a ripetizione ma i colpi non risuonavano come poteva essere normale. Il rumore sembrava essere assorbito dalla sfera come se nel suo interno ci fosse uno spazio infinito, vuoto nel quale ogni eco andava a perdersi nel nulla.
Lasciò cadere l’attrezzo e, stravolto, senza curarsi di come era vestito, uscì di casa. Perse la cognizione del tempo, non si accorse di quanto girovagò per le strade, camminò fino a che le gambe lo ressero poi, piano, piano recuperò le sue facoltà intellettive e, sfinito, rientrò a casa. La sfera era sempre lì, gigantesca, avrebbe potuto contenere tranquillamente una persona accovacciata.
Dopo una notte agitata tutto ritornò come prima. La presenza dell’oggetto gli riapparve amichevole, si abbandonò ancora alla sensazione piacevole che ne scaturiva.
Le visioni della sua vita passavano dolci e veloci. Il matrimonio celebrato quasi di nascosto per l’opposizione del suocero, i primi anni di vita in comune, la nascita del primo figlio, la guerra. Eh già, la guerra… Era stato fortunato, pensava, anche se aveva vissuto la tragedia di quel periodo lontano dalla famiglia, in un inferno di situazioni che potevano stravolgere ogni valore normale dell’esistenza. Aveva riportato a casa la pelle ed aveva ricostruito, in breve, condizioni di vita onorevoli, merito soprattutto dell’energia e della forza d’animo di sua moglie.

Rammentava nitidamente l’abitazione del decennio seguente. Le stanze allineate lungo un corridoio lunghissimo, riscaldate da alcune stufe a legna che a malapena, d’inverno, riuscivano a sciogliere il ghiaccio all’interno dei vetri. Tutta la famiglia riunita in cucina fino all’ultimo momento per poi affrontare di corsa il lungo corridoio gelido e infilarsi sotto i piumini accoglienti. La gioia più grande era leggere negli occhi dei figli la soddisfazione di aver conquistato per una sera la bottiglia di acqua bollente per riscaldare il letto.

I giorni passarono, le tappe significative della sua vita scorsero nella sua mente sempre più veloci, stimolate dal contatto con la sfera. Il ripostiglio manteneva nascosto a tutti quell’oggetto così strano, inquietante, ma ormai accettato e cercato. Non si verificò più alcun aumento di volume ma
improvvisamente qualche cosa cambiò. Sulla superficie, si formò una impercettibile incrinatura, regolare, di forma chiusa, geometrica, come se si stesse delineando un’apertura.

Lo trovarono accucciato proprio lì, dentro lo stanzino. Per una giornata intera non aveva dato notizie di sé. I figli abituati ad un contatto giornaliero si erano subito preoccupati. Non aveva risposto al campanello, il figlio maggiore si era precipitato in casa aprendo la porta con le chiavi di scorta in suo possesso. Il medico che accorse non riscontrò cause apparenti della morte, disse che forse il cuore aveva ceduto improvvisamente, data l’età non era necessario indagare ulteriormente. Non doveva aver sofferto, anzi, era sorprendente l’aspetto rilassato e quasi sorridente del suo viso.

I figli posarono delicatamente un bacio sulla fronte ormai fredda cercando di scacciare quella sensazione di vuoto che prende immancabilmente allo stomaco quando viene a mancare il supporto, la protezione, magari illusoria, di chi ci ha messo al mondo.
In casa tutto era in perfetto ordine, i documenti importanti all’interno di cartelline allineate nella libreria e diligentemente contrassegnate, le stoviglie riposte, la biancheria piegata. Sembrava che lo avesse intuito, commentarono.
Come unica nota stonata osservarono la poltrona stranamente collocata nel ripostiglio ma non fecero particolari riflessioni su ciò. Nessuno invece si accorse dell’impronta profonda, concava, circolare, stagliata sulla sua imbottitura, che lentamente si attenuò e svanì.