Il ritorno

IL RITORNO

Sapevo che sarebbe successo: sono trent’anni che vivo lontano, in giro per il mondo, e ho sempre immaginato il momento in cui sarei stato chiamato per tornare a casa d’urgenza… quel giorno è arrivato.
Ho appena riattaccato. Prendo il passaporto. Metto qualche cosa nella borsa da viaggio e scendo in fretta le scale. Il taxi si avvicina troppo lentamente; gli corro incontro e salgo aprendo la portiera prima ancora che si fermi, gettando la borsa e l’impermeabile sul sedile: “Please, take me to Heathrow: terminal three. Fast!” Mi siedo e comincio a guardarmi attorno nervoso, cercando di calcolare quanto tempo impiegheremo in più a causa del traffico, ignorando l’autista, finché non vengo colpito da una musica, proprio un samba e da quel momento il mio pensiero corre di poco indietro nel tempo…

Sono arrivato a casa da pochi giorni e con me c’è Helena, la mia nuova amica brasiliana; siamo andati a trovare mia madre e per festeggiare il mio arrivo ho con me l’immancabile scatola di cioccolatini. Nida è sempre uguale… Gioiosa nella sua accoglienza, dolce eppure pacata mentre mi chiede dei miei successi, pur non comprendendo del tutto la mia vita, tanto lontana dai luoghi che abbiamo conosciuto insieme, dove siamo nati. Mentre racconto divora i cioccolatini uno dietro l’altro, fingendo ogni volta di non ricordare di averne ancora uno in bocca. L’I-pod di Maddalena, la giovane badante rumena, sta suonando un samba brioso che rende l’atmosfera allegra. Nida è felice e in grande forma, considerando anche i suoi 98 anni e, come sempre, le chiedo di ballare: i suoi occhi si illuminano e mi ricorda che è stata lei ad insegnarmi a ballare; lentamente si alza, ma a quel punto si illumina anche una delle mie lampadine pazze: “Ragazze che ne dite di farmi un samba-streap-tease?”. Le “ragazze”, entusiaste, mi rispondono subito di si ridendo e cominciano a correre da tutte le parti per aprire cassetti ed armadi in cerca di qualcosa di spettacolare: un vecchio boa spennacchiato, il costume da bagno, un pareo con colori vivaci, dei guanti di lana e ricompaiono tutte insieme contemporaneamente come per magia in soggiorno. Mi siedo e mi godo lo spettacolo mentre le “ragazze” cominciano a sambare tenendo le gonne e sollevandole al ritmo della musica. Mia madre non rimane indietro: alza leggermente la gonna a pieghe sul ginocchio e inizia a ballare in maniera ritmica e garbata. Riavutomi dalla sorpresa prendo il cellulare e comincio a scattare foto: tutti ridiamo e siamo felici. Nida non rinuncia a fare la primadonna e si esibisce al pari delle sue partner, mentre io continuo a divertirmi soprattutto con lei e a scattare, chiedendole di osare di più, e mentre le altre mi lanciano addosso a turno boa e guanti, con improbabili mosse da spogliarelliste navigate, lei solleva ancora la gonna, stavolta fin sulla coscia; ride col suo grande e ancora bellissimo sorriso, rovesciando la testa all’indietro: con il cerchiello di velluto sulla testa e i capelli a caschetto ancora in parte neri, Nida sembra una ragazzina che non vuole smettere di giocare e divertirsi con noi. Mentre io continuo a ridere mi accorgo della scatola vuota di cioccolatini che è riuscita a finire da sola: l’ultima fotografia…

Il taxi si ferma: sono arrivato all’aeroporto; pago la corsa e mi avvio al banco delle accettazioni e salgo sull’aereo. Sono seduto accanto al finestrino; fisso fuori, lontano, senza vedere altro che il cielo sereno, mentre un cumulo di nuvole bianche ad est si confonde con l’orizzonte e il sole fa capolino dietro di loro.
In volo i motori sembrano soffrire lo sforzo di tenere sospeso in aria questo palazzo volante; il loro ronzio mi comprime le orecchie, imprigiona pensieri ed emozioni, mentre ogni volta che guardo le lancette dell’orologio sembrano non muoversi affatto. Dopo un intervallo di tempo che pare durare una vita, mi si accosta un’hostess: sorridendo mi chiede che cosa possa servirmi. La guardo distrattamente, poi le chiedo, con voce piatta: “Mia madre sta morendo: devo scriverle. Per cortesia, mi porti della carta e una penna.” Se ne va, forse turbata, e riappare con ciò che le ho chiesto; mi sorride di nuovo sfiorandomi e trattenendo leggermente la mano mentre mi consegna ciò che le ho chiesto, poi scompare.
Abbandono i fogli appoggiati sullo strapuntino e penso sconfortato alla telefonata che poche ore prima mi ha fatto mia sorella: “Vieni prima che puoi!”. Non farò in tempo a salutarla e a stringerle le mani, lo so… ma devo scriverle! Dispongo il materiale sul tavolinetto: lei mi leggerà comunque.

” Cara mamma,
la canzone del tempo, che per te ha suonato per quasi un secolo, sta forse completando le ultime note e non so se quando ti raggiungerò sarai ancora in vita, ma voglio dedicarti quello che di più caro che ho ereditato da te: i miei pensieri, i sentimenti, l’amore.
Voglio ringraziarti per essere esistita, per come hai vissuto e per quello che hai saputo dare a me e a Lia, mia sorella, col tuo esempio, con la tua presenza sempre vigile e discreta, mai ingombrante e limitativa per coloro che ti vivevano accanto.
Hai vissuto un Secolo controverso, hai perso il padre quando avevi solo pochi mesi, hai attraversato due guerre e hai visto partire nostro padre per la Guerra in Africa e la Seconda Guerra Mondiale, vedendolo tornare dopo anni. Con lui hai costruito un progetto di vita, grande nella sua estrema semplicità, e gli sei stata sempre accanto, docile, ma non troppo, remissiva, ma mai debole, grande interiormente ed esteriormente.
Per me e per noi tutti sei stata un modello importante, una guida sicura, un aiuto costante. Credo che tu abbia condotto una buona esistenza, senza rancori e senza grandi dolori e che tu meriti di riposare in pace, laciando a noi un vuoto incolmabile e la sensazione che con la tua scomparsa la barriera psicologica che c’è fra noi e la Morte sia improvvisamente caduta, facendoci sentire totalmente vulnerabili, più esposti, improvvisamente vecchi, definitivamente soli!
Ti ringrazio, cara, ancora e profondamente per essere stata mia madre, per il contributo silenzioso e prezioso di opere ed affetti che hai saputo donare alla tua Famiglia, alla tua Gente, al tuo Paese, a me.
Riposa in pace, mamma.”

L’aereo sta finalmente rollando. Rallenta, si ferma. Esco col respiro affannato, nonostante sia stato seduto tutto il tempo. Appena fuori accendo il cellulare e chiamo mia sorella, senza riuscire a parlare, ma lei riconosce il numero: “Mamma… un’ora fa. Ha chiesto di te. Era serena.”