Da: Scampoli serali di un venditore di arazzi

Piccola luce amica

Sopra la fronte confusa e i capelli arruffati
arrossavi i miei libri
piccola luce amica. Dalla campagna
i tocchi allontanavano il pensiero
dai giochi della vita e i passi del mattino
riportavano il tempo. Era allora
che lasciavo le vite dei grandi
ricostruendo con le voci rimaste
gli sguardi ed i profili dell’ultima festa.
Mischiava un ricordo giocoso
a una tristezza inspiegabile
in fondo alla mia anima.
Come era lungo
il corto brunire invernale e quanto breve
il lungo meriggiare dell’estate:
protendersi acuto di voglie,
albeggiare odorato di terra,
sperare rinato nei chiari meriggi
prima di ritrovarti piccola luce opaca.
Sospirava alla finestra silenzioso il vento
e mio fratello si specchiava in questo vetro
- usanza antica come il tuo rossore -
con la voglia accanita di vincere il mondo.
01/04/2001

 

Il fringuello

Il fringuello, che di solito veniva a becchicchiare
al vetro della mia finestra,
questo lunedì di febbraio non l’ho visto.
Mi ero affezionato a quel batuffolo
di piume bianco-cremisi che con coraggio
si era abituato a convivere vincendo la diffidenza
verso gli umani. Poi, mentre
annaspavo nei dintorni del giardino,
sulla proda del vicino
mi è apparso disteso senza spirito. L’ho sepolto.
Ho saputo due giorni dopo del diserbo.
Quanto è difficile becchicchiare per i celicoli
in questi rigori di febbraio!

 

Stasera la luna

Stasera la luna frugando in cielo
non è detto che non trovi i miei pensieri
nascosti nel blu. Ma non è detto
che sia tornata a frugare solo per me
tra le sfere del buio.
Può darsi che lo faccia
per natura, senza pensare
ai dubbi che si annidano lassù.
Sono tornato a vedere stasera
quel chiaro di luna insistente
che da sempre si perde nella notte.
Non ho certezze; spero soltanto
che quel pallore scopra tra le nubi
l’antico sorriso che un giorno di maggio
fuggì col suo sguardo. Ma forse la luna lo sa
che l’aria è troppo nera
per essere frugata da un chiaro di luna.

 

I tetti verde-ocra

I tetti verde-ocra di quei rustici annosi
mi richiamano sul colle; rievocano vendemmie
sui clivi disposti a esaltare
riposanti lentezze.
Ladro il cielo
carpiva vernici ai pampini
nei tramonti auguranti
raccolti spavaldi: erano gai
i colli, le fanciulle gaie eguale
e pure le canzoni.
E anche se l’ambra infondeva parvenze
di giochi decadenti alle giunchiglie
sprizzavano vita gli allegri palmenti
su questi colli abbarbicati al sole.
Ai freschi degli ulivi
cozzarono bicchieri i paesani,
aprirono la terra e stille di sale sulle labbra
resero aspre al gusto
le gocciole del sole. Riecheggiarono
stornelli su queste inclinanze; gorgheggi
etruschi impigliati tra i sarmenti.
Ricordo dolce il confondersi tra i pampini
di dita di perla, di guance rubino.

 

Erano i tempi in cui le primavere

Erano i tempi in cui le primavere
riempivano di gocce di candore
getti di primule, mandorli e acacie
e l’aria accarezzava con le piume
l’azzardo alla vita di butti precoci.
E c’era un asolo
spirante da lontano; e una corrente
col chioccolìo dell’acqua di sorgente
a coprire il clangore del fronte
alla mia infanzia.
Nella notte
i pensieri predicevano l’estate
spegnendo i bengala
col sole della fantasia.
Tutto si dilata di quelle primavere:
il candore dei bocci,
quell’asolo vagante,
i voli oltre i bengala,
e la fiaba di una bionda regina
che mio padre mi narrava ogni sera
avanti di partire deportato.
30/12/2002

 

Si confondono lontane compagnie

Si confondono lontane compagnie
nel buiore dei tempi. Sono lampi
sfuggenti, piccoli flash, che ritornano
a volte scampati all’oblio
con l’aiuto di qualche parvenza:
una piazza, una strada, un silenzio,
col suo rumore fragile.
Fuoriescono sfumate e ti lambiscono
l’animo; e tutto si fa dolce dentro.
Una metamorfosi graduale:
un senso d’innocenza melanconica
ti pervade, e resti imbambolato
per un attimo, senza chiare immagini,
ma solo con ombre che vagano attorno
alla vita presente. E ti colpisce
il tremolio di un vento tra le fronde,
od un profumo di bosco o di verde,
o magari una testa scarruffata;
ma niente si rifà
composto, niente riprende la forma
vivente; sono anime vaganti
che ogni tanto ti arrestano il cammino,
e si mettono a parlare attorno a te;
t’incantano e ti lasciano di stucco,
dicendoti di fiumi e mari,
di piccole vie sconnesse che vanno
al cuore, di piccole cose importanti,
poi trascurate; note che non sanno
di vita vissuta; soltanto lampi
che rompono i tempi con la voglia
di bisbigliare la loro presenza.
26/01/2004