LUNGO QUESTO FIUME – Elena Malta

Lungo questo fiume1Elena Malta

Golden Pegasus Edition, 2015

Nel maggio 2015 “LUNGO QUESTO FIUME”, terza raccolta di poesie, vede la luce come opera vincitrice del Concorso letterario Internazionale Pegasus Golden Edition, della Pegasus Edition di Cattolica. Da allora questa opera riceve riconoscimenti letterari e presentata, con grande successo di pubblico, in cenacoli e eventi culturali a Roma, San Marino, Firenze e Bologna. Con la prefazione del critico d’arte Sandro Bernabei, che ne coglie l’aspetto della musicalità della frase poetica, è arricchita dalla recensione del Prof. Nazario Pardini, pubblicata nel Web, in ‘Alla volta di Leucade’ di venerdì 2 ottobre 2015. L’opera è stata inoltre richiesta e inserita nel programma del FLA 2015 (Festival delle Letterature dell’Adriatico), presentata dallo scrittore Giovanni D’Alessandro,con grande successo di pubblico.

La recensione di Nazario Pardini

Facevo gli aquiloni a primavera, (…) Vestivano veline colorate sottili come l’aria e trasparenti, (…) Tre splendidi aquiloni, a primavera, vanno nell’ampio cielo veleggiando. Non vista, resto in basso, qui a guardare e il cuore prende il volo, dietro a loro. (I miei aquiloni) .

Poesia fluida, gentile, il cui ritmo, di eufonica armonia, accompagna con visiva icasticità gli abbrivi vitali. Sì, la vita in tutta la sua problematica vicenda fatta di solitudine, pensamenti, sogni, saudade, memoriale, e volo; volo verso l’alto, verso l’azzurro, con la leggerezza di un aquilone sorretto dal refolo della primavera. Mi piace iniziare questa mia esegesi dalla citazione testuale. Perché vi sono già presenti gli elementi costitutivi che segnano il marchio di fabbrica della poetica di Elena Malta: spicca, fin da subito, l’umano impulso a sottrarsi alle aporie del contingente; alla materialità precaria e futile che ci tiene; al condizionamento del giorno che fugge. Tentare tali azzardi oltre l’orizzonte che circoscrive e limita il nostro essere, farsi ala leggera per trasferire il cuore sulla rotta degli aquiloni significa per Elena varcare le inquietudini del quotidiano. E sa, la Nostra, quanto sia difficile, per non dire impossibile, per noi umani traversare quei confini, dato che, in quanto tali, guardiamo l’orizzonte con una fitta miopia, impotente di fronte ai grandi spazi. Tutt’al più possiamo stare là, da parte, in un angolino, a meravigliarci delle giravolte di due stecche alate, che tanto simboleggiano le nostre aspirazioni alla libertà, all’apertura. D’altronde lo stesso Pascal riconosceva questa posizione scomoda dell’uomo di fronte al tutto, definendola “un milieu entre rien e tout”. Da ciò deriva il tormento, la insoddisfazione, il nostro malum vitae, in quanto esseri pensanti e coscienti della nostra fragilità; esseri unici, consapevoli della sorte dell’iter intrapreso; e per questo bramosi di tornare all’eccelso delle radici, di toccare il cielo con un’anima che tenda a svincolarsi dalla palude. Un odeporico intendimento, quindi; da nostos e nostoi; da viandanti di ritorno, che, dopo un lungo tragitto, incontrano colori di un tramonto color pesca. Il tema del viaggio, del redde rationem costituisce il cuore di tanta poesia antica e contemporanea; d’altronde è estremamente facile identificarlo con le tappe della vita; come in questa silloge che fa del titolo Lungo questo fiume un simbolo quanto mai appropriato e quanto mai simbolico della nostra vicissitudine terrena e non solo. Come è tanto facile, d’altronde, smarrirsi in questa ricerca di ontologica valenza; perdere la nostra identità come la perde il fiume nella secca, o immergendosi nell’immensità di un piano senza fine:

Ha perso adesso l’acqua di portata, così asciugata e tutta riassorbita… Ma l’erba riesce a sopravvivere, verdeggiante, e tanto sa di speranza in questo letto secco e ciottoloso: …  Ma l’erba si mantiene a verdeggiare,ancora le radici hanno vene da cui pescare umidi sentori, ancora i fiori si aprono ai colori e vestono sorrisi sotto il sole,…

Un senso di sperdimento coglie, infine, la Poetessa: mentre prima c’erano esseri a spegnere l’arsura, ora tace il bel rumore delle acque; ed è facile annullarsi lungo le sponde “ se non ci sverseremo come vene/ di liquida sostanza che alimenta,/ ricrea nuovamente un po’ di vita/…/ un polo di richiamo, una radura,/ per noi, cavalli bradi alla sorgente”.

Una silloge piena, matura, fortemente intimistica, che sa tradurre il corpo degli input emotivi in realtà fenomeniche; in una natura dai molteplici aspetti che si fanno corrispondenza paradigmatica degli stati d’animo dell’Autrice; e il tutto si dipana su uno spartito musicalmente audace, dove l’endecasillabo, con la sua sonorità, accompagna l’opulenza verbale e iconografica delle immagini. Comunque un andare vario e articolato, fatto di diverse misure metriche a seconda dei sobbalzi epigrammatici della vicenda: settenari quando si vuole trasmettere la spigliatezza di un’azione;  come ne La partita dove “… il battitore è Vita /…/ ricevo delle carte/ dispari e disparate/…/ Ed è sempre la Vita/ che vince la partita.” novenari, versi di un’unica parola, quinari, alternati a quaternari o ottonari in una poesia libera da costrizioni stilistiche dedicata alla madre:

Alla tua morte, madre, anch’io come morta me ne andai vagando senza perno… (Madre, anch’io), dove un patema di forte esistenzialità tende a trasferirsi in urgente liricità; in un realismo affettivo che non di rado si traduce in sassi dilavati, in memorie svanite, in terra bagnata, in gocce nel vento, nel mare, in rivoli di pianto: E gocce un lungo giorno piovve dentro quell’altro, e poi nell’altro ancora, a rivoli di pianto, ad annacquare al cuore i sogni, ad uno ad uno, a svellere memorie di fiori ed erbe nuove, lasciando bene in vista i sassi dilavati aguzzi e inariditi spezzati, sotto il sole. (E piovve un giorno). Sembra che, al fin fine, siano i sogni ad essere annacquati dalla vita; ma che in qualche maniera, intervengano le scintille di aromatica legna a richiamare antiche memorie; antichi incontri a galleggiare Lungo questo fiume: Adorno i miei giorni d’inverno (…) di pane tostato alle braci nel mio focolare di pietra che brucia aromatica legna di pino, di olivo e di quercia e stilla preziose scintille: essenze di antiche memorie. (Giorni d’inverno). Una metaforicità di resa poematica scorre per tutta la silloge dando configurazione significante all’opera che sottintende nel suo substrato un sentimento di vaga melanconia; una riflessione sul gioco casuale della sorte, foriera di solitudine: (…) E se c’è vento buono a mio favore o tramontana fredda e spaccature, non è per volontà, ma è puro caso. Ognuno è solo in mezzo alla sua strada. (Dopo sere di buio). Un memoriale che si fa terriccio fertile per cromatici fiori di canto. Un ritorno alla casa; a un un’alcova riposante; disposta ad aprire bei sorrisi su ogni volto: (…) Nei semplici bicchieri da cucina Brillava trasparente e rosso il vino, sangue e sudore d’uomo, dal mattino, lodando il sole, chino sulla terra, sorsi di cuore forte e generoso, amari solo un po’, per dare forza e dolci fino a svellere la scorza e aprire bei sorrisi su ogni volto. (Nella cantina mi piaceva stare). O a inquietarci, una volta tornato alla luce, con patema di sottrazioni incolmabili: (…) I passi di mio padre sono il vuoto che piango nel freddo i mondi che non ho esplorato l’assenza che mai nessuno ha colmato. (Passi nel freddo). E quale metafora più appropriata dell’autunno, e delle sue foglie rubino ci può dare l’idea della vita che scorre e che, inesorabilmente, volge alla foce come l’acqua del fiume al suo mare: (…) Sembrava che bastasse una bevuta o queste mani a trattener le lame. Di foglie morte la mia strada è piena. (Di foglie morte) Un concatenarsi di quadri e di cornici che confluiscono in versi amabili e sonoramente convincenti; una confessione amara, sì, amara sulla vita e i suoi intricati meandri; ma anche un profondo affetto per essa e per tutto ciò che ci offre o che ci ha offerto, visto che proprio da ciò che più amiamo scaturiscono rimpianti e risentimenti: (…) Così sola da sola danzo negli infranti luminosi frammenti di un sogno. (Attimi di luce). Nazario Pardini