La terra irraggiungibile

I

Salpare è forse l’ultima scommessa,
gettare il cuore oltre la linea d’ombra
ad inseguire il sole ad occidente.
Chissà se limpida è la rotta a prua
e se la stella brilla ancora a Nord,
ma il guscio vacillante che ci culla,
seme affidato ai vortici del mare,
è già salvezza,
è già Terra Promessa.
L’onda che incombe ad innalzare muri
- sipario che rabbrivida e sgomenta -
è forse tempio aperto che ci salva
o forse è già presagio:
rinasceremo in terre amiche, oppure
torneremo all’abbraccio di conchiglie,
ai serti insanguinati di corallo
(azzurro e vasto come il cielo è il mare
- urna segreta, scrigno di memorie -
solo un poco più buio e più profondo…).

II

Ecco, è già tempo di scalare il cielo:
l’approdo ha braccia immense,
attese immemorabili
(il pane ha dita rosa in cima al sogno
antico di chi parte).

III

Fu lungo il viaggio,
incerto l’orizzonte.
Ora ci accoglie un chiuso labirinto
ed il silenzio è grido che lasciamo
agli usci abbandonati delle case.

Eppure ancora splende, ammaliatrice,
la Terra irraggiungibile che chiama
alle incantate luci delle torri
(noi temerari che sfidammo il vento,
diseredati fummo anche del sogno).

Ascolta l’interpretazione di Rodolfo Vettor: