Su: Materia Grezza, di Aurora De Luca

NEL SOLCO DELL’AMORE: I NUOVI, IMPERVI TERRENI DELLA SEMINA DI AURORA DE LUCA
Semina nel solco dell’amore anche questi nuovi versi, Aurora De Luca, confermando con ciò la disposizione della sua poesia ad esplicarsi attraverso i sommovimenti che il sentimento è in grado di produrre nelle profondità dell’animo.
Ritrovo, quindi, nella raccolta, stilemi e contenuti ampiamente apprezzati: le dolci e fresche descrizioni dell’amato (“E allora penso a te, / preziosissimo minuscolo mio. ” – “Resta mio, / mio piccolo campo incolto”) e, non meno, le visioni dei traslati (“Come foglia d’autunno / per me sei ramo, // corolla di primavera / per me sei ape. . “ – “Sei foschia d’alba / e luce furente / del mio mezzogiorno, / il languido sonno del mio destino / e la sete arsa della mia bocca. . .”).
Un’inedita percezione, tuttavia, sembra voglia farsi strada nei miei pensieri: ho l’impressione che la semenza venga intenzionalmente cosparsa su terreni più impervi, più selvaggi; come se – in chi scrive – sempre più impellente divenga il desiderio di trovare profumi e colori di fiori sbocciati su rami di piante ancora più rare.
Prende dei rischi, ovviamente, Aurora: abbandonando il sentiero principale pare, a volte, smarrirsi in viottoli più intricati sebbene percorribili; e lo stesso disorientamento può impadronirsi anche di colui che ha imparato a seguirla sulla via della linearità e della mitezza.
Non voglio assolutamente affermare che ne risenta la giovanile vena dei suoi versi: la spontaneità resta, ed è, la vera qualità di questa poesia; intendo soltanto far notare quello che – forse – si potrebbe identificare con un plausibile quanto naturale passaggio di una scrittura comunque in evoluzione.
Per rendere più esplicita la mia sensazione, supporterò l’assunto con un paio di riferimenti testuali che reputo chiarificatori al riguardo: mi riferisco a Uniti e, in modo particolare, a Tu la terra io il mare.
Quest’ultima lirica è quella che decisamente ha avvalorato i miei convincimenti: il lettore – immagino – avrà già avuto modo di soffermarvisi, vista l’attrattiva dalla stessa esercitata, ma mi sia consentito riproporla nella sua interezza cosicché più circostanziata possibile risulti l’esegesi: “Sei la terra tu / confine intagliato e scosceso, / abissi da scalare; / ed io il mare, / tu la terra, costa mia, / mio altro abbraccio, / secondo polmone. // Sono il mare io / gonfio sospiro in moto, / sale bianco, / fondale rivoltato; / e tu la terra, / io il mare, tua gravità contraria, / per dove tu tendi io spiaggio, / per dove tu inizi io finisco.”
Ora, al di là dell’innegabile ed arioso respiro allegorico (nota distintiva e frequentemente ricorrente in questa e in altre prove della scrittrice castellana) mi piace porre l’accento sulla chiusa e sulla specularità delle due strofe: elementi-chiave – a mio modo di vedere – per accorgersi del nuovo e fitto inoltrarsi della sua parola.
Ma andiamo per ordine: il distico finale (di esemplare bellezza) racchiude e riassume ciò che, fin dall’inizio, si presenta come connotativo di tutto l’elaborato; la poesia è un continuo cercarsi e trovarsi di poli opposti che, però, si completano proprio in virtù della loro diversità, di quella complementarietà di cui non possono fare a meno.
È un intreccio, appunto, indistricabile: viene ad annullarsi persino la differenziazione maschile-femminile, già a partire dal titolo, Tu la terra io il mare (tu – uomo – roccioso, concreto; io – donna – fluida, incorporea; nei generi, linguisticamente invertiti).
Ci si trova di fronte ad uno specchio che, quantunque capovolta, restituisce l’immagine fedele della realtà, e chi può dire che non sia tutto vero quello che vediamo? Unito, come uniti (“in una mano due”) “e persi pure” vogliono percepirsi i due giovani per non smarrirsi davvero “per queste vie assolate / per queste vie terremotate”.
Ecco cosa si scopre seguendo Aurora De Luca lungo gli angusti sentieri della sua Materia grezza: una sostanza che non cerca di raffinarsi ma, viceversa, d’inselvatichirsi, con la convinzione di rinvenire, nei transiti più ostili e meno battuti, l’essenza autentica dell’amore.
È succedendola nell’appena intrapreso cammino che, personalmente, ho visto aprirsi radure cui, il suo pur fervido slancio appassionato non mi aveva ancora abituato.
Sandro Angelucci